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UE ed egemonia tedesca

UE ed egemonia tedesca. E’ davvero sensato continuare a dolersi per l’evidente egemonia che la Germania esercita nell’ambito dell’Unione Europea? Ci si duole quando le alternative a disposizione sono più d’una e, soprattutto, se quella che prevale non ci piace. Vorrei però chiedere se qualcuno pensa seriamente che ipotesi alternative ci siano.

Si può replicare, ovviamente, che i padri fondatori avevano in mente una comunità di Stati membri collocati su un piano di parità, all’interno della quale nessuno poteva vantare il diritto di “pesare” più degli altri. Idea bella e nobile, ma con un vizio di fondo: non tener conto degli insegnamenti della storia.

Il peso di una nazione è direttamente proporzionale alla sua importanza economica e, forse ancor di più, all’efficienza del suo sistema politico e amministrativo. I tedeschi, che pur venivano da una sconfitta apocalittica nel secondo conflitto mondiale, hanno saputo ricreare uno Stato solido e funzionante. Anche da loro i problemi ci sono, ma non v’è dubbio che abbiano dato prova di saperli affrontare e, in buona parte, risolvere.

Sarebbe quanto meno strano che, dopo essersi guardati intorno, non approfittassero della loro forza per adottare una linea consona al proprio interesse nazionale. Il problema, allora, sta altrove, e soprattutto in una Francia che continua a coltivare i sogni di grandezza cari a de Gaulle, ma svolge in fondo un ruolo ausiliario anche se il suo Presidente di turno siede sempre con i tedeschi ai tavoli che contano.

I Paesi del Sud, con l’Italia in testa, sono strutturalmente deboli e sempre sull’orlo di crisi epocali. Quelli entrati di recente, soprattutto all’Est, sono spontaneamente portati a raccogliersi intorno a Berlino, e lo stesso discorso vale per finnici e scandinavi.

Ciò che alla Germania si può rimproverare, piuttosto, è di non aver usato (almeno sinora) l’egemonia per impostare un discorso di vasto respiro politico, in grado di fornire all’Unione basi più solide, e di imporla quale attore decisivo nello scenario globale.

Il discorso non sarebbe tuttavia completo senza prendere in considerazione altri due fattori fondamentali. Il primo è rappresentato dalla politica estera e della difesa che, a tutt’oggi, non esistono. Se davvero la UE vorrà essere protagonista nel mondo dovrà dotarsene, e in tempi possibilmente rapidi.

Il secondo fattore è altrettanto essenziale e si può esprimere, anch’esso, con un quesito: quali sono i confini dell’Europa? Una scuola di pensiero più tradizionale ritiene che li abbia già raggiunti con l’aggregazione di gran parte degli ex Paesi satelliti dell’URSS.

Un’altra scuola, più innovativa, giudica invece che tali confini siano ben più vasti, e debbano includere, oltre l’Ucraina, pure nazioni caucasiche di antiche radici cristiane come la Georgia e l’Armenia. Ma in questo caso bisogna pur stabilire chi fornirà a tali Paesi protezione e condizioni minimali di sicurezza. E’ evidente che l’attuale Unione non è in grado di farlo e, ancora una volta, il compito spetterebbe agli Stati Uniti (ammesso che siano disposti a svolgerlo).

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Michele Marsonet

Filosofo, Professore di filosofia della scienza e metodologia delle scienze umane, Presidente del dipartimento di filosofia e vicerettore per le relazioni internazionali dell’Università di Genova

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