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Università italiana e sbocchi occupazionali

Il consorzio interuniversitario “AlmaLaurea”, che si occupa tra l’altro della condizione occupazionale dei laureati italiani ponendosi come punto d’incontro tra università, scuole, aziende e gli stessi laureati, ha pubblicato il proprio rapporto annuale. Alcuni dati balzano immediatamente agli occhi.

In primo luogo ben il 42% dei neodiplomati provenienti dalle scuole superiori si dichiara insoddisfatto del percorso di studi intrapreso dicendo che, se potesse tornare indietro, oggi sceglierebbe in modo diverso. La cifra è impressionante e ci rammenta che nel nostro Paese molti giovani iniziano gli studi secondari senza avere le idee chiare circa le conseguenze future della loro scelta.

In secondo luogo si è appurato che il 22% dei neodiplomati, e quindi uno su 5, punta direttamente al lavoro dopo la conclusione degli studi secondari. Sembra poco, ma non è così. Si tratta in realtà di un’inversione di tendenza – sia pure ancor debole – rispetto al trend degli anni recenti, quando la percentuale di coloro che volevano proseguire gli studi a livello universitario era più alta.

Ciò significa che lo sbocco universitario, prima incoraggiato dalle famiglie perché considerato strumento di ascesa sociale, ha perso parecchia credibilità. Non è difficile individuare la causa di tale cambiamento nell’attuale crisi economica che ha reso ancora più depresso un mercato del lavoro già prima in condizioni non brillanti.

E’ pure plausibile dedurre da questi dati che sta tramontando la tendenza a considerare l’università come mera “area di parcheggio”, una sorta d’intervallo di vita dove si studia aspettando che – prima o poi – qualcosa succeda. Si noti inoltre che i meno pentiti del percorso formativo appena concluso sono i neodiplomati degli istituti tecnici e professionali, mentre aumenta l’insoddisfazione di coloro che escono dai licei.

Risulta in crescita anche il numero dei diplomati disposti ad accettare un lavoro non coerente con gli studi compiuti, e si tratta di un’altra novità. In precedenza veniva appunto cercata la congruenza tra studio e lavoro, mentre ora si è disposti a lavorare in settori che poco o nulla hanno a che fare con quanto si è appreso sui banchi di scuola.

La maggiore soddisfazione dei giovani che escono da istituti tecnici e professionali è dovuta anche al fatto che in quell’ambito sono molto più frequenti gli stage e i tirocini, percepiti quali strumenti di avvicinamento al mondo del lavoro. Il fatto è che nei suddetti istituti l’attività di tirocinio è in pratica obbligatoria, mentre è ancora rara in ambito liceale.

Una delle conseguenze principali del quadro fornito da “AlmaLaurea” è che è prevedibile una diminuzione dei diplomati che si iscrivono all’università. La tendenza, com’è noto, è in atto da alcuni anni. Ne sa qualcosa chi nel contesto accademico si occupa di orientamento. Il calo non è drammatico di per sé, ma continua a manifestarsi anno dopo anno. Le matricole italiane diminuiscono, e l’aumento degli iscritti stranieri non è certo in grado di pareggiare il conto.

Ecco un altro problema che il nuovo governo dovrà affrontare in tempi rapidi e con soluzioni innovative, pena il possibile blocco del nostro sistema di istruzione universitaria.

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Michele Marsonet

Filosofo, Professore di filosofia della scienza e metodologia delle scienze umane, Presidente del dipartimento di filosofia e vicerettore per le relazioni internazionali dell’Università di Genova

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