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Spiare il cellulare del partner è reato: cosa dice davvero la legge

Spiare il cellulare di un’altra persona, partner o quant’altro è reato: ecco cosa stabilisce la legge e le sanzioni per chi vieta questa regola

Spiare cellulare
Spiare il cellulare del partner è reato: cosa dice davvero la legge – lecodellitorale

Hai mai pensato che dare un’occhiata ai messaggi del tuo partner, magari mentre è in doccia o ha lasciato il telefono incustodito sul tavolo, potesse trasformarsi in qualcosa di molto più serio di una semplice curiosità? Sembra quasi una scena da film o da meme su Instagram, e invece parliamo di qualcosa che può costare caro. Letteralmente.

Perché la legge italiana, oggi più che mai, parla chiaro: spiare i messaggi su WhatsApp (o qualsiasi altra app) può configurare un vero e proprio reato.

La Corte di Cassazione ha recentemente confermato la condanna per un uomo che, pur non avendo forzato fisicamente l’accesso al telefono della ex moglie, aveva comunque fotografato schermate di conversazioni e registro chiamate usando un secondo dispositivo.

Secondo i giudici, questo comportamento rappresenta un’intrusione non autorizzata in un sistema informatico privato e protetto, anche se non si tratta di hackeraggio in senso tecnico. In pratica, se accedi a uno smartphone non tuo — protetto da password e in uso esclusivo del titolare — stai violando uno spazio comunicativo riservato. E questa violazione è punibile fino a 10 anni di carcere.

Non basta il consenso iniziale: il reato scatta comunque

Un dettaglio che fa riflettere — e che molti sottovalutano — è che il reato di accesso abusivo a sistema informatico può scattare anche se il titolare del telefono aveva inizialmente dato il permesso di usare il dispositivo.

Per esempio, se il partner ti presta il cellulare per cercare una foto o fare una chiamata, ma tu nel frattempo sbirci tra le chat private… sei comunque fuori legge. Lo ha ribadito la Cassazione: il consenso vale solo per lo scopo dichiarato. Tutto il resto è un uso indebito.

Martello aula tribunale
Non basta il consenso iniziale: il reato scatta comunque – lecodellitorale

Nel caso giudicato recentemente, l’uomo aveva anche inviato i contenuti “rubati” ai genitori della donna e li aveva utilizzati in sede legale per sostenere l’addebito della separazione. Ma questo non ha attenuato la sua posizione: anzi, i giudici hanno parlato di “arbitraria invasione della sfera di riservatezza”, mettendo nero su bianco un principio chiave per l’era digitale.

Quello che molti ancora fanno finta di ignorare: un cellulare non è solo un oggetto. È un’estensione della vita privata di chi lo possiede.

Quando la tecnologia diventa un’arma, anche nelle relazioni

L’uso improprio di app pensate per monitorare i figli o proteggere i dispositivi aziendali sta diventando un problema serio. Secondo diverse inchieste giornalistiche, queste tecnologie vengono sempre più spesso impiegate per spiare partner, colleghi o dipendenti. Un fenomeno noto anche come “stalkerware”. E sì, pure quello è illegale.

Viviamo in un’epoca in cui ogni relazione — sentimentale, familiare o professionale — passa anche per lo schermo di uno smartphone. Ma questo non significa che possiamo sentirci autorizzati a invadere la privacy altrui solo perché abbiamo dubbi, ansie o sospetti.

Anche se ci sentiamo “dalla parte della ragione”, non è con lo spionaggio che si risolvono i problemi. La giustizia, ora, è molto più attenta a questi comportamenti: e il fatto che la Corte di Cassazione abbia preso una posizione così netta rappresenta un segnale forte.

Allora vale la pena farsi una domanda: in un mondo dove tutto è tracciabile e condivisibile, non dovremmo forse ridare valore alla fiducia? Perché se serve violare un telefono per capire cosa c’è in una relazione… forse il problema non è (solo) nello schermo.

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