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Panarda e sai cosa mangi: giro d’Abruzzo in 50 portate

Gustate le piparule e ove. Fate spazio a lu capelomme. Attendete lu rentrocele alla lancianese e assaggiate la sprisciocca seguita dal caciocavallo di grotta con miele di Tornareccio. Ma sappiatelo: siete solo all’inizio del viaggio alla ricerca dei sapori perduti. Nella Panada consumata al Castello Chiola, dimora storica che domina il delizioso borgo di Loreto Aprutino (Pescara), c’è tutto un patrimonio da scoprire, rigorosamente a portata di palato.

L’Abruzzo è servito in questa rievocazione del più alto conviviale di questa terra ruvida. Una vera e propria orgia alimentare creata con una materia prima di primissima scelta che per fortuna è stata preservata prima dall’isolamento, poi da parchi e aree protette, e oggi da un turismo sostenibile. A firmare il menu e a dirigere una brigata di 14 persone, c’è Vito Pastore, trentacinque anni, chef executive dell’Antico Torchio, il ristorante a la carte di Castello Chiola, struttura diretta da Leonardo Chiavaroli. Di mamma originaria di Guardiagrele (Chieti) e papà, primario in ortopedia, sempre in giro per lavoro, Vito, è nato e cresciuto ad Acquaviva delle Fonti, in provincia di Bari, ma è a Loreto Aprutino che trasforma la cucina povera in gourmet. Perché la Panarda è solo su ordinazione (130 euro circa). Di lavoro dietro le quinte ce n’è eccome.

Chi non la conosce tenga presente che si tratta della rievocazione del più alto conviviale abruzzese: 50 portate tra antipasti, brodi di gallina, pasticci, timballi, carni arrosto, verdure, formaggi, salumi, frutta e dolci. Ma qui, dove la terra di confine può apparire ruvida, proprio qui, dove talvolta i piedi tremano, nel cuore di uno dei 700 castelli tra i più belli al mondo. c’è una sentinella a fare da testimone a un tour  gastronomico che già al debutto, mantiene una promessa: non lasciarvi a bocca asciutta! Preparatevi a un percorso gastronomico di 4 ore, ma la scoperta dei sapori tipici che farete è in sostanza fatto di quel patrimonio umano che gli abruzzesi sanno donare. Non pensate di scegliere il vicino di tavolata. Guai. Ci pensa la sorte. Prima di entrare in sala, dovete pescare il vostro numero di posto. Il resto vien da sé. Davanti a voi non c’è nessuno. A parte posate, un piatto, due bicchieri per acqua e vino essendo il pane non previsto nel convivio anticipato durante l’Abruzzo Food Experience guidato dalla Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura Chieti Pescara. In linea con la tradizione locale, la Panarda è un’esaltazione del cibo e delle tradizioni che celebra la fatica dell’uomo, glorifica valori anche non cristiani e onora Sant’Antonio Abate, patrono degli animali da cortile. Solo che all’alimentazione in voga fino ai primi del ‘900, fatta di legumi, granoturco, frumento, verdure e pasta fatta in casa, è stata aggiunta la variante della carne, per lo più pollo e maiale. A prescindere dall’etimologia incerta che fa derivare la parola dal matrimonio a tavola del pane con il lardo, sta di fatto, comunque, che la Panarda consisteva un tempo e consiste dal 28 novembre, in un pantagruelico banchetto di cibi considerati rari e preziosi. Prendendo le distanze dalla ricorrenza del 17 gennaio in funzione devozionale del Santo Antonio Abate, così come dalla voglia di allontanare la miseria dalla tavola delle famiglie più povere attraverso l’offerta di questo banchetto da parte dei ceti più facoltosi, c’è di bello che l’annata si presenta più che florida nel guardare il menu. Prima di arrivare ai sassi d’Abruzzo (dette anche mandorle “atterrate”) ricoperti da zucchero fuso che, una volta caramellato sulle mandorle le rende somiglianti a piccole pietruzze scure, e prima di fermarsi alle Sise delle monache di Guardiagrele, un dolce abruzzese celestiale, la strada è lunga. Passa per la cozza vastese, la tiella di alici e patate, il brodo di Natale alla chietina, la salsiccia secca di fegato, la sprisciocca e ancora. Perché già contare fino a 50 portate e arrivare alla fine della Panarda per lasciarsi andare al saltarello, ce ne vuole di tempo che scorre. A scandirlo ci pensa il “maestro di Panarda” (per noi era Claudio Ucci direttore Consorzio Abruzzo Travelling) a fare la regia dell’evento fortemente voluto dalla Camera di Commercio di Chieti Pescara. È lui che presenta le pietanze annunciate da un colpo secco di tamburo. Ed è lui che ha scelto il momento giusto per far entrare in scena il Gruppo Orchestra Popolare del Saltarello diretta da Danilo Di Paolonicola. Loro, affiatati e divertiti, ballano in cerchio, in coppia, in file contrapposte, a croce e in qualsiasi direzione. Sempre loro cantano e ritmano la serata che alterna pietanze a danze, canzoni e brindisi inventati al momento, dove a improvvisare potresti essere proprio tu che stai leggendo questo articolo. Perché a scegliere chi deve alzare i calici e dare il beneaugurante augurio ai presenti, è sempre un componente dell’orchestra del Saltarello. Suona l’organetto fino a quando, come una mannaia, la nota musicale si interrompe dietro alla sedia del prescelto che deve inventare un pensiero per i presenti al banchetto, alzando in alto il calice pieno di vino. Ma non finisce qui. Può capitare (e capita) che dopo l’esibizione di “Mare Maje” resa nota da Lina Wertmüller nel 1973 con il “Film d’amore e d’anarchia”, faccia il suo ingresso davanti a voi anche il “guardiano di Panarda”. Non ha il fucile ma è armato di mattarello e controlla che tutti mangino tutto, con la frase minacciosa “magne”!!! Ovviamente è uno scherzo, ma va da sé che i piatti tornano bianchi in cucina.

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