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Editoriale

L’AFFAIRE LIBICO E I CORSARI BARBARESCHI L’editoriale del Direttore

Se Macron urla, Erdogan ringhia e Abdel Fattah al-Sisi si innervosice, Putin non dorme, la Lega Araba gli suona la sveglia e Israele veglia, l’Italia assiste basita, impotente tanto quanto la NATO, l’ONU, l’OMS, l’UNESCO e l’Unione Europea, pur se prima destinataria naturale, obbligata di tutti i rigurgiti e gli insulti possibili, con conseguenze commerciali, industriali, ambientali e non ultime antropiche, posto che, guerre guerreggiate o meno, i migranti economici prevalgono largamente sui profughi bellici e continuano ad essere oggetto di mercato con destinazione Italia, Covid o non Covid. Insomma, noi siamo ad un tiro di schioppo da tutto questo sconquasso, a meno di mille chilometri da Tripoli, tanto quanto da Milano a Palermo, eppure lontani, esclusi brutalmente da chi ben più distante geograficamente si contende petrolio e gas senza mezzi termini, adesso con estensione dell’affaire della gestione del trasporto in Europa. Oleodotti e gasdotti dunque in contrapposizione tra Asia ed Africa verso l’Europa, il vero motivo dello scontro, che rischia di andare ben oltre le schermaglie tribali tra gli “usurpatori” dei Ra’is Mu’ammar Gheddafi, il cui fantasma continua tormentare le coscienze di chi lo ha voluto morto in quel di Sirte il 20 ottobre del 2011, determinando cinicamente instabilità politica ed altre migliaia di vittime innocenti, salvo buon fine. Ma per capirci di più, mi sembra giusto ed opportuno rimandarvi alla storia, a quel che scrissi un paio d’anni fa… IL “BARBARESCO” ISOLAMENTO DELL’ITALICO STIVALE – Se non si trattasse di una seria realtà e se non ci riguardasse, sarei tentato di metterla sul ridere, ricavandone una e più barzellette. Purtroppo, questa storia dell’isolamento dell’Italia è tutta vera e non è questione di questi giorni, ma vecchia di anni, se non di secoli o millenni. Adesso i “corsari barbareschi” hanno inteso cambiare il senso di marcia ed hanno deciso di prendere la gente ogni dove in Africa e catapultarla verso le nostre coste, piuttosto che venire a rapinare e rapire dalle nostre parti, come facevano cinque secoli fa Barbarossa ed il suo degno erede Thurgud Alì, detto Dragut. Sul fatto che la condizione geografica faccia dell’Italia una ideale area tampone, cuscinetto o se preferite “lazzaretto” non ci piove. Sul fatto che, per necessità, dell’Italia si debba fare virtù, ovvero sacrificarla per salvare il resto d’Europa, a cominciare dalla Francia, mi pare non ci siano dubbi. Vedete, potremmo parlare e discettare all’infinito su questioni di carattere socio-morale, di filosofia e di religione, ma non potremmo mai trovare soluzione al problema di questa pandemica trasfusione di umani da un continente all’altro, se non interrompendone il flusso forzato e doloso provocato e gestito da questa arcaica genia di predoni, che ha un consolidato bilancio, un curriculum strepitoso fatto di distruzioni, migliaia e migliaia di teste mozzate, di oltre un milione di europei ridotti in schiavitù tra il XIII e il XIX Secolo. Ecco perché l’Italia non può non difendere le sue coste dai nuovi corsari barbareschi, che sono tornati ad assaltarla , utilizzando i poveri “migranti” ed ecco perché l’egoismo degli europei, francesi in testa, è fuori da qualsiasi giustificazione , se non quella di evitare il peggio, alzando il ponte levatoio. D’altra parte, serve a qualcosa ricordare che la situazione è precipitata nel 2011, dopo l’aggressione francese alla Libia ed il regolamento dei conti tra Sarkozy e Gheddafi, con la morte di quest’ultimo? Dunque, l’Italia, come Malta, non può che chiudere i porti e difendere il proprio territorio, in attesa che la Nato o qualcun altro stabilizzi la Libia, come del resto già fecero gli americani tra il 1801 e il 1815, inviando le loro navi da guerra. D’altra parte, la storia dovrebbe farci riflettere sull’indole dei nostri dirimpettai. Ne volete un piccolo esemplificativo riassunto per quel che riguarda il “saraceno” Dragut, successore del terribile Barbarossa? Il 25 luglio 1546 il “corsaro” sbarcò a Laigueglia catturando tutti gli abitanti caricandoli sulle sue navi. Il 4 luglio 1549 assediò Rapallo , depredando la città e le chiese, portando via come schiave più di cento donne. Nel 1552 assaltò Palmi e nel 1553 l’isola d’Elba , devastando i paesi di Capoliveri, Marciana, attaccando Portoferraio e mettendo sotto assedio Piombino, quindi quasi distrusse la città portuale di Terranova (attuale Olbia). Nel luglio del 1552, Dragut aveva assalito Camerota, facendo 400 vittime. Nel luglio del 1554 assediò per una settimana Vieste, all’estrema punta del Gargano, incendiandola e devastandola, decapitando 5000 persone sulla roccia ai piedi della Cattedrale detta “Chianca Amara”…Morto nel 1565, durante l’ennesimo assalto a Malta, Dragut ora riposa – si fa per dire – a Tripoli, nella Moschea “Saray Dragut”. Il Monumento dei Quattro mori a Livorno celebra le vittorie riportate contro i corsari barbareschi alla fine del XVI secolo dall’Ordine dei cavalieri di Santo Stefano, un Ordine corsaro cristiano appositamente creato a tale scopo, del quale il Granduca Ferdinando I de’ Medici era Gran Maestro. Le navi mercantili americane erano vittime di continui atti di pirateria e così nel 1784, il Congresso approvò la spesa di 60.000 dollari da versare come tributo agli Stati barbareschi. Il fatto che, ciò nonostante, si registrassero ancora degli attacchi, fu un motivo determinante per la costituzione della Marina Militare degli Stati Uniti, che comprendeva una delle più famose navi d’America, la fregata pesante USS Philadelphia. Seguirono due guerre conosciute come Prima e Seconda guerra barbaresca (1801-1805 e 1815) vinte dagli Stati Uniti, grazie anche alle capacità del loro commodoro Stephen Decatur, Infine, le suggestioni “barbaresche” per l’arte nella più ampia capacità d’espressione: Il mercato degli schiavi di Jean-Léon Gérôme (1866): un classico esempio di “orientalismo” pittorico.
Poi i corsari barbareschi sono ancora protagonisti del romanzo di Emilio Salgari Le Pantere di Algeri (1903) e compaiono in numerosi altri romanzi di avventura, tra cui Robinson Crusoe, Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas, Lo sparviero del mare di Rafael Sabatini, The Algerine Captive di Royall Tyler, Master and Commander di Patrick O’Brian e il Ciclo barocco di Neal Stephenson.
Miguel de Cervantes fu imprigionato nel bagno penale di Algeri per ben 5 anni dal 1575 al 1580 e l’eco della sua esperienza si ritrova in alcuni suoi libri, tra cui Don Chisciotte della Mancia. In tale occasione conobbe e divenne amico del poeta siciliano Antonio Veneziano, cui nel 1579 dedicò dodici ottave di una sua epistola. Anche il melodramma ha rappresentato (spesso in modo fiabesco) gli ambienti della guerra di corsa. Per esempio Il ratto dal serraglio di Wolfgang Amadeus Mozart e L’Italiana in Algeri di Gioachino Rossini.

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