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Editoriale

EDITORIALE DEL DIRETTORE – IL FINE DEL DIPORTO

Di Ruggero Alcanterini

IL FINE DEL DIPORTO – Ieri l’Inter ha battuto la Juve. Il pubblico non c’era, ma la tribuna sportiva sì ed era lì puntualmente a dibattere ed a sentenziare sul destino di un artificioso trastullo una volta domenicale ed adesso senza soluzione di continuità settimanale. Se ci pensate bene, con la montagna di soldi che spendiamo in canoni ed abbonamenti per assistere a magnifiche sceneggiate agonistiche, potremmo ben fare di tutto e di più per il movimento sportivo reale, quello che tornerà ad essere presidio imprescindibile della nostra salute fisica e mentale, quando la nostra società diverrà alfine civile. Chi poteva pensare mai che l’invisibile alieno COVID ci avrebbe cambiato la vita come capitò con le guerre mondiali, ricacciandoci nella tana e nel ruolo forzato di spettatori, privandoci addirittura del “boccaccesco diporto”, che almeno addolciva la fuga dalla Firenze appestata sette secoli fa. Adesso che lo sport in presenza è fermo, salvo il correre e il passeggiare in solitaria, ci rendiamo dunque conto di quel che ci manca veramente. A volte tutto sembra già scritto, diciamo per quello che definiamo a vario titolo destino. E’ pur vero che la casualità a volte soffre di troppe coincidenze per essere considerata un fattore erratico nel nostro divenire, ma se ci pensiamo bene, se riflettiamo, facciamo mente locale, ci accorgiamo che forse nulla avviene per caso, che tutto ha un perché e se non arriviamo a darci delle risposte, soltanto allora ci diamo dentro con la fantasia. Ad esempio, due anni fa, quell’evento comunque straordinario degli Stati Generali dello Sport al Foro italico non è capitato per caso, né per una scadenza protocollare, ma diversamente per la situazione emergenziale creatasi con l’articolo 24 del “Contratto di Governo”, che determinò il 48 della Legge Finanziaria per il 2019, quindi l’occasione per misurare la pressione al movimento sportivo, sino a trecentosessantacinque giorni prima esclusivamente in capo al CONI e al CONI Servizi SpA. Come già altre volte ricordato , si trattava sostanzialmente di una opportunità forse preliminare, propedeutica ad una eventuale vera riforma della materia sportiva, che rappresentava da sempre il tema di fondo dell’impegno ideale per tutti coloro che allo spor guardavano e guardano come ad un fenomeno metaforico di valore indispensabile ed insostituibile, men che meno distratti dalla sua spettacolarizzazione. Così, quando nel 1994 ci riunimmo nel Waldemar Castle sull’Isola di Svendborg, in Danimarca, per concepire la International Sport and Culture Association (ISCA) nata poi ufficialmente con il primo Congresso a Copenhagen nel 1995, i presupporti erano quelli della cultura popolare, da cui i giochi di tradizione nella logica della ricreazione e della festa, secondo comportamenti che gli umani sin dalla notte dei tempi, passando per l’esaltazione in Olympia, attribuivano all’essere diversi da qualunque altro essere in natura, sino alla identificazione della dimensione divina, in Zeus Olympico. Quando nel 1996, a Losanna, facemmo irruzione nella Sala delle Conferenze del CIO – forti del disco verde del Presidente catalano Juan Antonio Samarach – per presentare il dissacrante “SESTO CERCHIO”, partorito in occasione del Congresso dell’AICS e condiviso con i danzatori della sartana nel Velodromo Olimpico di Barcellona per il Festival della Confederation Europenne Sport Santè, presieduto da Rafel Niubo, il tema era quello della “Universalità dello Sport per Tutti” in nome della salute e della cultura. Oggi, con resiliente spirito propedeutico alla rinascenza della socialità attraverso la pratica sportiva, quella intuizione ( che vede la Danimarca come Paese simbolo di una sintesi perfetta, dove la ginnastica generale è filosofia dominante per la Danish Gymnastik Histadrut / DGI ) sembra ispirare buona parte del mondo, con 96 Paesi, 239 associazioni nazionali e 60 milioni di persone coinvolte all’insegna di un logo pitagorico e dello “Joyful Spirit”, lo stesso che ispirò il “diporto” , da cui lo sport, a Boccaccio : …” Io vo’ con teco partir queste pene, Se dar non posso a tua noia conforto, Perciocchè coll’amico si convene. Ogni cosa partir, noia e diporto”.

 

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