27 GIUGNO 2020 –
Quando si dice COMUNICARE LO SPORT, questo è il tema che ci appassiona in questi giorni, in cui va in onda la sesta puntata di TROPS con la prima parte di SPORT e COMUNICAZIONE. Sono passati quattordici anni dalla testata “mondiale” di Zidane a Materazzi e COMUNICARE LO SPORT rimane – con il calcio in evidenza – un elemento di formidabile coinvolgimento per l’immaginario collettivo, purtroppo piuttosto nel male che nel bene.
Nel 2016/17 mentre a Roma andava in onda il primo seminario di COMUNICARE LO SPORT, a Losanna i vertici italici del governo del Paese e dello sport andavano ad omaggiare il Presidente del CIO, Thomas Bach, con una preview della presentazione ufficiale del progetto di candidatura per Roma Olimpica 2024 (tre capitoli, 85 punti). Le idee vincenti, contestualizzate in un sondaggio IPSOS, che vedeva il 77% degli italiani favorevoli alla seconda edizione romana dei Giochi (dopo i XVII del 1960) non facevano il minimo riferimento all’unica vera icona storica dello sport mondiale, lo Stadio di Domiziano in Piazza Navona, ma ripartivano dal Colosseo, quale “medal show place” serale, dal Circo Massimo (beach volley), Fori Imperiali (arrivo ciclismo), Arco di Costantino (arrivo della maratona a fine circuito interreligioso) Vela di Calatrava a Tor Vergata (tennis) Foro Italico (atletica e nuoto) Piazza di Siena (equitazione), Nuova Fiera di Roma. Non un accenno all’altra risorsa strategica di Roma ’60, quella dell’EUR, raggiungibile dal Foro Italico con la Via Olimpica e dove, distrutto irresponsabilmente il Velodromo Olimpico, permane il “nerviano” Palasport. Le vere curiosità rimangono il destino dello Stadio Nazionale di Piacentini, oggi convenzionalmente Flaminio, in uno stato di rivoltante degrado, e il discutibile cambio di destinazione d’uso del nuovo Pallacorda (intitolato al vivente Nicola Pietrangeli) per i tuffi e del Centrale del Tennis per la pallanuoto, visto che il Foro Italico era stato già stravolto dalle orribili sovrastrutture imposte allo Stadio Olimpico per i Mondiali di Calcio 1990.
All’Auditorium delle Federazioni Sportive, COMUNICARE LO SPORT aveva preso l’avvio con il primo seminario “LO SPORT COMUNICA”, alla presenza di moltissimi quadri di vertice e centinaia di giornalisti, che avevano seguito condividendo la sapiente trama tessuta da Piercarlo Romeo e Maria Cecilia Ferraro, supercoach della FREE YOUR MIND. Tra i super “discenti”, anche due grandi campioni “ori olimpici”, oggi dirigenti e giornalisti, come Michele Maffei schermidore e Daniele Masala pentathleta. In quei giorni, si era involato tra gli iperborei Ettore Scola, un ragazzo del 1931, studente del Liceo Albertelli, uno degli Istituti dal gruppo sportivo onusto di gloria ai tempi degli studenteschi inventati da Bruno Zauli. Ecco dunque la coincidenza su cui Ettore avrebbe ironizzato, secondo il suo stile, anche in una circostanza triste, come quella della sua stessa dipartita: come tutti stanno ricordando, lui aveva compiuto i primi passi nella redazione del TRAVASO DELLE IDEE in compagnia di Federico Fellini e di molti altri che avrebbero poi dato nerbo e qualità ai cinema italiano negli anni cinquanta, sessanta, proprio come l’esuberante umorismo sportivo del TRAVASO , quello che negli anni complicati della ripartenza italica faceva sorridere Scola e tutti noi.
Chi più di Gianni Brera è esemplificativo del concetto di COMUNICAZIONE E SPORT, come chiave d’accesso alle emozioni globalizzanti legate all’agonismo, come elemento fondamentale del gioco via, via trasformato dagli umani in attività di grande funzione sociale e in spettacolo, sino alle dimensioni planetarie, ovvero lo sport come cinema delle emozioni? Lui, il più prolifico coniatore di neologismi, sanguigno percettore e convertitore di sensazioni, di umori, di note caratteriali, spesso associate alle stesse qualità della natura, il gusto etnico per cibi e vini, ebbe la sorte di andarsene di colpo per un incidente d’auto nel 1992, a settantatré anni, lasciando incompiuto un ciclo che avrebbe potuto riservarci mille altre sorprese.
Approfitto della straordinaria opportunità che si sta determinando con COMUNICARE LO SPORT, in fase di decollo con il primo appuntamento dedicato di TROPS, per ricordare uno degli “assi” del giornalismo italiano, uno dei direttori storici di quello sportivo, anche lui come Salgari veronese di nascita, alla guida de La Gazzetta dello Sport, del Corriere dello Sport e di Tuttosport dal 1936 al 1962. Bruno Roghi era nato a due anni dai Giochi di Atene 1896, la prima edizione delle Olimpiadi moderne. Giunto alla diciassettesima, quella di Roma (quando io esordivo nell’Ufficio Stampa diretto da Garroni e Bianculli) lui scrisse pagine memorabili con un piglio ed un taglio che gli erano propri, ma che in quella occasione erano onusti di valori simbolici, storici, sociali, quasi fosse una sintesi del suo percorso di grande comunicatore, forse il testamento da sapiente cantore dello sport, destinato a spegnersi dopo poco più di un anno. Per questo mi riferisco suo esemplare “pezzo” sull’apertura dei Giochi di Roma, intitolato “APPUNTI PER I POSTERI” …
Quando ci davamo appuntamento per “COMUNICARE LO SPORT”, mancavano giusto pochi giorni al settantesimo compleanno di Kabir Bedi, splendido interprete del centotrentatreenne Sandokan, figlio legittimo della straordinaria penna di Emilio, Carlo, Giuseppe, Maria Salgari. tutti avevano comunque cavalcato emotivamente la “Tigre della Malesia”, ignorandone i fondamentali sportivi, appunto quelli
del prodigioso, straordinario, geniale inventore, appunto il veronese Salgari, giornalista dell’Arena e scrittore che, pur autore della infinita, straordinaria fortuna degli editori, dei media, del cinema, della tv e degli emuli taroccatori, fuggì dal mondo, suicida nel 1911, emarginato e nella miseria, mentre autorità e bellimbusti festeggiavano alla Expo di Torino i cinquant’anni del Regno. Il collega Emilio aveva anticipato tutto e tutti nel concepire narrazioni che estrapolavano l’indole umana per l’avventura e per il progresso, non ignorandone le nobiltà e le malvagità d’animo necessarie per affrontare le incognite del futuro, come bene lui fece intendere con il suo fantascientifico “LE MERAVIGLIE DEL DUEMILA” nel 1907. Uomo di sport, dedito alla scherma, alla corsa, al ciclismo e passato per il mare, ordinava ai figli ed alla moglie il saluto agli ospiti con sciabole e fioretti sguainati, come non dimenticava il suo ruolo di dirigente della Lega Navale. Per tutto questo, considero Salgari esempio imprescindibile di come la comunicazione possa e debba andare ben oltre la terza e la quarta dimensione, purché si sia capaci di attivare le particolari facoltà percettive, che la rendono sublime per l’immaginario collettivo…
Penso che Gianni Rodari sia sempre tra noi, anche se è volato via appena qualche primavera fa, leggero come l’aria fantasiosa, che ispirava i suoi racconti. Ecco, uno dei personaggi che penso abbiano a che fare anche con un modo nuovo, diverso e soprattutto giusto di “COMUNICARE LO SPORT”. In quei giorni era entrato in campo anche Andrea Abodi, Presidente di Lega Calcio Serie B, stringendo in pugno il cartellino verde, che “l’arbitro Giustino”, immaginato da Gianni, avrebbe potuto brandire a sorpresa con somma meraviglia di calciatori e pubblico, visto che il fair play ad oggi continua ad apparire episodicamente, come i miracoli. Allora andiamo oltre gli schemi tradizionali del comunicare e andando a colpire direttamente e scientemente la sfera sensitiva, ben aldilà delle cinque tradizionali facoltà, ovvero le dodici in cui l’antropologo Rudolf Steiner – già nel 1910 – pensò di raggruppare la complessità comportamentale umana: era giusto l’anno in cui il grande studioso della fenomenologia sportiva, Angelo Mosso, moriva di diabete, male oggi pandemico e contro cui la pratica sportiva potrebbe fungere da formidabile prevenzione.
Così gli “agonisti” della penna tornavano idealmente allo Stadio di Domiziano per presentare un evento, che non prescindeva dai duemila anni di storia testimoniati dai nobili laterizi e dal travertino consunto, appunto dal tempo. Si puntava al ruolo principale di quello che fu lo stadio d’atletica per eccellenza nell’antichità, nella Capitale dell’Impero Romano, pietra angolare di un sotteso straordinario sistema museale sportivo diffuso nel tempo e nello spazio. Per questo, sento di dover abbinare il ricordo di Marcello Piacentini, che in occasione del 50° del Regno d’Italia, nel 1911, riprese la forma dello stadio more greco per lo Stadio Nazionale al Flaminio (in ritardo rispetto alle attese di Pierre de Coubertin, che sognava i Giochi Olimpici del 1908 a Roma) di Lando Ferretti, prima al Giornalino della Domenica, nel 1910 e poi a La Gazzetta dello Sport, quindi Presidente del CONI sino al 1927, deus ex machina dell’intero sistema sportivo italiano ad oggi in funzione, di Bruno Zauli, giornalista, nume protettore dell’atletica, da Segretario Generale del CONI, inventore dello sport nella scuola e fondamentale fautore dei Giochi 1960 a Roma, con l’impareggiabile coordinamento di Marcello Garroni e in occasione di quali iniziò a brillare la stella televisiva Paolo Valenti, uno dei miei buoni maestri…
Dunque, “COMUNICARE LO SPORT”,anche con indimenticabili “iperborei” come il “profeta” Alfredo Berra, il ringhioso Antonio Ghirelli e l’estroverso Paolo Rosi. Con Bernini, nello stadio divenuto Navona, la piazza più bella ed unica del mondo, la stessa Chiesa di Santa Agnese in Agone comunica una sua appartenenza “agonistica” e l’obelisco che sormonta la Fontana dei Quattro fiumi, con i suoi geroglifici, è proprio quello che narrava la vita dell’Imperatore nell’Iseo attiguo allo Stadio, spostato da Massenzio a far da meta nel Circo dedicato al figlio sull’Appia, per almeno millecinquecento anni, prima di essere recuperato nel luogo d’origine. Al cospetto di tanta storia, continuo a stupirmi del fatto che lo Stadio in travertino e laterizi per 35mila spettatori, adorno di gruppi marmorei (tra cui il notissimo “Pasquino”) costruito per Domiziano poco meno di duemila anni fa, nell’86, una delle meraviglie del mondo antico, peraltro tempio degli Agonali dedicati a Giove Capitolino e dei giochi di tradizione popolare per secoli, giunto sino a noi mimetizzato dalla trasformazione barocca, sia rimasto obsoleto sino ai nostri giorni. Addirittura studiato da Rodolfo Lanciani durante gli scavi ottocenteschi e riscoperto e preservato dall’architettura fascista nel 1936. persa anche la grande occasione dei XVII Giochi Olimpici del 1960, lo Stadio, more greco e più bello di sempre, ci ha comunicato l’idea di sport attraverso lo stesso tralignare di luce, che animava il furore agonistico di Michelangelo Merisi da Caravaggio, giusto nei paraggi, in Campo Marzio, al “Pallacorda” e – nello spirito vocazionale – sin dalla celebrazione del trionfo di Augusto, vittorioso in Spagna e non solo, quindi attraverso i maestri, coloro che hanno trasformato in leggende le gesta sportive e trasferito la cultura della sfida leale tra le pagine più belle della letteratura, con i loro racconti, scritti, in voce e in immagini, sempre capaci di suscitare straordinarie emozioni, emulative pulsioni , salvifiche visioni , forti motivazioni per affrontare la vita di ogni giorno o l’infinito futuro…
Così ho cominciato a rovistare nella memoria e mi sono accorto che i miei buoni maestri sono stati davvero tanti, diretti e indiretti. parlo di giornalisti/scrittori con profili diversi, ma tutti di grande personalità e capacità professionali, che avevano ed hanno peraltro un punto in più, in quanto profondi conoscitori del fenomeno sportivo (tanto per capirci intendo personaggi come Edmondo de Amicis, oltre i citati Angelo Mosso, Emilio Salgari…). anche loro, con noi, protagonisti di “TROPS/SPORT E COMUNICAZIONE”…
Mi ricordo, come se fosse adesso, quando fui accolto da Cenzo Bianculli, Vice Capo Ufficio Stampa dei Giochi di Roma 1960, al Centro dell’Acquacetosa e poi, dopo quel sogno tra i grandi in allenamento allo Stadio delle Aquile, a Il Corriere dello Sport, con Alfredo Berra e Antonio Ghirelli, all’Agenzia Italia con Pippo Molinari, ai Servizi Sportivi del Giornale Radio-Rai con Italo Gagliano, Paolo Valenti e il Capo, Guglielmo Moretti, nella redazione di Atletica/FIDAL con Alfonso Castelli e a Selesport con Giuseppe Sabelli-Fioretti, quindi a La Gazzetta dello Sport con Gualtiero Zanetti… Tutto incredibilmente in poco più di due anni, dall’agosto 1960 al luglio del 1963. Una storia giornalistica, la mia, che ad oggi prosegue, proprio grazie a quei buoni maestri…