di Ruggero Alcanterini
XVII GIOCHI OLIMPICI – ROMA 1960 – IL DOVERE COMPIUTO (80a puntata) IL GIURAMENTO DI ADOLFO CONSOLINI– Ieri ricorreva lo speciale anniversario della nascita di Adolfo Consolini, il grande discobolo italiano che vinse ai Giochi Olimpici di Londa nel 1948, restituendo l’Italia Sportiva e non solo alla pari dignità internazionale ad appena due anni dalla catastrofe della Seconda Guerra Mondiale. IL 25 AGOSTO DEL 1960 aveva pronunciato il “GIURAMENTO DELL’ATLETA” in nome e per conto di tutti i partecipanti ai XVII Giochi di Roma. Aveva 43 anni, Consolini, quando venne scelto dal Coni per pronunciare, da capitano degli azzurri, il giuramento degli atleti della XVII Olimpiade: non senza polemiche proprio per via di quella voce in falsetto. Passò un anno a studiare il rito e la giaculatoria. Meritava quel riconoscimento Consolini, il Gigante Buono nato cento anni fa, il 5 gennaio del 1917 a Costermano, vicino a Verona. È stato uno dei grandi dello sport italiano. Fu tre volte primatista mondiale del disco (53,34 metri nel 1941, 54,23 nel ’46, 55,33 nel ’48); oro olimpico a Londra (’48), argento ad Helsinki (’52), 6° a Melbourne (’56), 17° a Roma (’60); 3 vittorie ai campionati europei (’46, ’50 e ’54); 15 titoli italiani. Capace di ottenere a 38 anni, nel ’55, la sua migliore misura: 56,98, primato europeo. Antonio Ghirelli mise giù così le sue impressioni su quell’inizio dei Giochi romani: «La voce di Adolfo Consolini si levò stridula e convulsa nella formula del giuramento… Certo avevano ragione di sostenere alla vigilia che non era voce adatta, che Consolini non possedeva il timbro stentoreo dei grandi annunci corali, la potenza dell’urlo gladiatorio… E nondimeno, nel falsetto esasperato di quella voce, vi era più verità che in ciascuna delle fasi che avevano preceduto il giuramento… Consolini gridava… con tutta la sua candida anima da fanciullo, era l’atletica leggera italiana, lo sport umile di un tempo, la francescana pazzia dei lanci, delle corse, dei salti, dei primati, dei viaggi in terza classe, dei piccoli alberghi, delle cartoline agli amici…». (da uno scritto di Matteo Lunardini). Adolfo come Gino, Gino Bartali, quando tornava a trionfare nel Giro di Francia e temperava gli animi nel Paese reso incandescente dall’attentato a Palmiro Togliatti. Il 2 di gennaio ricorreva anche l’anniversario della morte di Fausto Coppi. Fausto, come Adolfo, morto prematuramente e per cause batteriologiche/virali, l’uno di malaria, l’altro di epatite. Adolfo sportivamente era un intramontabile, come Fausto: entrambi due uomini ancora in tempo per esprimere le loro qualità in un percorso di vita, diversamente troppo breve. Entrambi protagonisti di storie straordinarie contrappuntate da avversari capaci di batterli e di generare passioni, emozioni, fazioni, al punto di coinvolgere l’immaginario collettivo nazionale e internazionale con le prime penne e le prime pagine di tutti i media in voga in quegli anni, nessuno escluso. Oggi, personaggi come Consolini e Tosi (il secondo sempre a Londra nel 1948) Coppi e Bartali, Dordoni e Pamich, piuttosto che Benvenuti e Mazzinghi, ci mancano e quanto meno non dovremmo dimenticarli.