Devo dire, che escluso il terrorismo, quello di matrice islamista, del califfato ISIS o di dubbia estrazione, quello “casalingo” degli anni di piombo, degli anni settanta, non ci stiamo facendo mancare niente. Adesso qualcuno mette addirittura in dubbio che dietro la vittoria di Bolsonaro in Brasile, ci sia l’ennesima manina, naturalmente italiana. La verità o se preferite la realtà è che l’Italia – così com’è – è il frutto rimasto acerbo di un antico compromesso, di un pasticcio nato dall’idea di unirla nella logica dei figli e dei figliastri. Di fatto, da un secolo e mezzo, l’arte di arrangiarsi ha consentito la sopravvivenza a milioni di persone che sono state in permanente attesa di pari diritti a fronte di pari doveri, di giustizia sociale. Tutto, fin dall’inizio è stato condizionato e determinato dalla filosofia del compromesso, salvo quando si è passati alle soluzioni provvidenziali ispirate a “l’uomo della provvidenza” ed al regime fascista, con tutte le conseguenze del caso.
Credo che il problema della mancanza di prevenzione, sul tema del territorio, come delle salute, sul funzionamento delle infrastrutture, sulle problematiche dell’ambiente, come quelle del reddito da lavoro o da semplice cittadinanza, il rapporto controverso con una Europa Comunitaria malata di cinismo contabile, dimentica della sua stessa origine culturale a connotazione mediterranea e del suo ispiratore, l’idealismo metafisico, siano tutte concause, ma anche effetto di una sostanziale confusione di ruoli e di idee, di cui profittano alla grande gli speculatori di turno, ormai su scala globalizzata, con tanti saluti ai rating, agli altalenanti spread, ai vincoli di bilancio, alla burocrazia dominante. Paradossalmente, ad ogni tragedia, più o meno annunciata, seguono raffiche di analisi mirate sugli argomenti di turno, lacrime di coccodrillo, promesse di correzione, appelli al consenso in vista delle scadenze elettorali. Nel buttare l’Italia in cagnara, nel voler cambiare tutto per lasciare di fatto tutto com’è, cioè nella palta, c’è la spiegazione dell’italico destino, quello di un andazzo gattopardesco, come genialmente rappresentato nel suo scritto da Giuseppe Tommasi di Lampedusa. E a proposito di Lampedusa, potremmo prendere proprio la nostra piccola isola, avamposto estremo d’Europa a simbolo di un concetto di compromesso che riesce ad essere al contempo porta chiusa ed aperta per i flussi dell’immigrazione sociale, economica, criminale: un collo di bottiglia da cui, per compromesso, passa la filosofia confusa del nostro essere, del nostro divenire. Francamente, vedere morti e feriti, migliaia di mezzi distrutti, infrastrutture a pezzi per i disastri idrogeologici conseguenti al maltempo e poi considerare che da anni abbiamo abbandonato parchi foreste, fiumi e canali all’incuria, abbiamo consentito per buonismo peloso che bisognosi e speculatori suicidassero i territori, ci deve far riflettere amaramente sul menefreghismo imperante, dominante tra di noi, nessuno escluso. Il dubbio, dunque, è che ogni atto, ogni passaggio, ogni enunciazione sia sospettabile di opportunismo del momento, di prossimità e di convenienza, piuttosto che ispirato agli interessi prioritari di una collettività. Dunque, è anche per tutto ciò che ho premesso, che riterrei opportuna una seria riflessione e un approfondimento di respiro progettuale rispetto alle scelte di Governo, ma capitali, senza appello che si vanno a fare. Ad esempio, quando abbiamo smantellato il Corpo Forestale eravamo o no consapevoli del danno spaventoso che ne sarebbe conseguito per un Paese come il nostro, con la sua enorme complessità ambientale ? Penso di sì, ma per rispetto dei diktat comunitari ci siamo tagliati tranquillamente gli attributi. Se parliamo di collegamenti strategici, di mobilità lungo lo Stivale e con le Isole non pensate che aereoporti, ferrovie e compagnie nazionali di gestione dei vettori siano fondamentali, strategici per garantirci la mobilità? Credo che non ci sia, anzi non ci dovrebbe essere discussione, ma se dovessimo dare retta, sempre agli occhiuti suicidi diktat, dovremmo rinunciare per sempre anche a quello che c’è e che sappiamo essere in pessime condizioni da Napoli in giù e appunto in Sicilia e Sardegna. Stesso ragionamento, dovrebbe valere e vale per la questione della pratica sportiva come prevenzione della salute, questione esplosa e piombata sulle prime pagine dei media, praticamente in contemporanea con il ritorno alla normalità della Federcalcio. Adesso, sulla graticola c’è apparentemente il CONI con la “partecipata” CONI Servizi, candidata dal Governo a divenire Agenzia Nazionale dello Sport e la Salute, sulla base di un articolo del Contratto tra Lega e Cinque Stelle. In realtà, a fronte di una causa nobile, quella di dare agli italiani la possibilità di educarsi e praticare correttamente lo sport a fini salutistici, fisici e mentali, la drasticità o se preferite la brutalità di un provvedimento legato alla Legge di Bilancio per il 2019, quindi imminente, mal si concilia con l’idea di una vera riforma, che dovrebbe avere ben altri fondamentali, di respiro complessivo, dalla Pubblica Istruzione, alla Salute, alle Infrastrutture, al Lavoro, all’Economia, all’Ambiente e quindi allo Sport, tutti settori da coinvolgere in un progetto generale di riconversione delle risorse del sistema per raggiungere il vero obiettivo di più salute attraverso la prevenzione e meno spese per la cura. Se siamo il Paese con il record europeo della obesità infantile e massacrato dal diabete a cominciare dal giovanile ci sarà pure un motivo e non sono certamente i palmares onusti di medaglie – che vantiamo con il CONI – a risolverci il problema, così come non è che smontando quel che c’è o cambiandone il nome andiamo da qualche parte, perché le risorse necessarie per una operazione radicale e innovativa, magari risolutiva sono invece da reperire proprio all’interno delle centinaia di miliardi spesi per la sanità tampone e soprattutto per i farmaci necessari ad una collettività mal educata e mal cresciuta. In definitiva, si tratta di ragionare su di una vera e propria economia di scala che potrebbe coinvolgere i singoli e le famiglie, com’è e quella che si potrebbe sviluppare attraverso incentivi e defiscalizzazioni, sostegno alla frequenza, alla pratica sportiva dai bambini ai super-adulti, intercettando l’enorme domanda latente e disattesa di milioni di persone che spesso scelgono per disperazione il fai da te con conseguenze anche spiacevoli, perché cari ragazzi, lo sport non sempre fa bene. Anche di tutto questo si è parlato nel recente FAIR PLAY DAY nel Salone d’Onore del CONI, nell’ipotesi di un completamento e consolidamento della rete dello sport basata sui valori positivi certi, intessuta a maglie strette nella società civile, con la collaborazione virtuosa tra privati e istituzioni . Di questo continueremo a trattare con tutti i soggetti e gli importanti interlocutori che hanno risposto all’appello del CNIFP e che rappresentano la condivisione possibile di un progetto culturale basato su principi etici, esperienza e tanta, tanta voglia di fare, lanciando la palla avanti e correndo: “PUT THE BALL AND …RUN!”.
Ruggero Alcanterini
Direttore responsabile de L’Eco del Litorale
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