In Italia, ad ogni crisi politica, viene evocato lo spettro del baratro e spesso si fa riferimento all’Argentina per paventare una condizione di fallimento sociale, politico ed economico.
Ma questi due paesi sono davvero paragonabili?
L’Italia è uno dei 5 Paesi nel mondo con un attivo manifatturiero (industriale) di più di 100 miliardi di dollari; è il numero 2 in Europa e il quinto nel mondo.
Insomma è un grande paese industriale, e l’84% del suo export sono prodotti industriali.
L’Argentina, al contrario, è un paese agricolo che esporta granaglie, ossia materia prime grezze, dove a fare i prezzi sono i mercati internazionali. Una caduta dei prezzi lo mette in difficoltà qualsiasi moneta esso adotti o per quanta moneta esso stampi. Se il prezzo della soia crolla del 30%, come è successo nell’ultimo quinquennio, l’Argentina va in deficit estero ed è costretta ad alzare i tassi per farsi prestare i soldi che non guadagna più esportando.
In un articolo della prestigiosa rivista economica Barron’s, Matthew Klein scrive che l’Italia senza euro non sarebbe come l’Argentina o la Turchia ma come il Regno Unito.
Infatti, argomenta, l’Italia non è un paese emergente come l’Argentina o la Turchia, ma “una antica e solida economia manifatturiera come il Regno Unito”.
Il giornalista specifica anzi che, dal punto di vista industriale, il nostro Paese è più competitivo del Regno Unito.
L’Italia è la seconda economia industriale dell’Europa con il 20% del suo PIL proveniente dall’industria contro il 10% circa di quello inglese.
Chi va a Londra, ha una impressione di benessere e di affascinante sofisticazione ma, ricorda Klein, il Regno Unito è uno dei Paesi più poveri dell’Europa Occidentale al netto della regione di Greater London, la cui prosperità dipende in larga misura dalla imbarazzante volontà di offrire ottimi servizi agli oligarchi del Medio Oriente e dell’ex Unione Sovietica.
Take out Greater London—the prosperity of which depends to an uncomfortable degree on a willingness to provide services to oligarchs from the Middle East and the former Soviet Union—and the U.K. is one of the poorest countries in Western Europe.
La City di Londra, centro della finanza globale, “vale” il 25% del Pil inglese.
Klein ha studiato la storia dei tassi d’interesse pagati sul debito pubblico di entrambi i paesi ed ha constatato che negli ultimi 40 anni sono stati più o meno sovrapponibili. Nel 1992, anno della speculazione sulla lira di George Soros, che ci costrinse ad uscire dal meccanismo europeo di scambio (ERM, European Exchange Rate Mechanism) dove la lira era agganciata al marco tedesco, anche la sterlina subì lo stesso attacco speculativo. La differenza è che Londra abbandonò l’aggancio al marco ma non entrò nell’euro, mentre i nostri governi guidati da Ciampi e Amato recuperarono l’aggancio, per poi aderire all’euro.
Anche i problemi di Italia e Regno Unito sono simili: invecchiamento demografico, divisione Nord-Sud, tagli all’istruzione, cultura popolare anti-intellettuale, crisi bancarie.
Aggiungiamo che l’Italia ha, per la maggior parte del ventennio passato, avuto una bilancia dei pagamenti in attivo – in ciò molto diversa da Spagna, Portogallo e Grecia.
Inoltre, l’Italia ha migliorato i suoi “terms of trade” più della Germania, anche se la sua produttività ristagna. Questo significa che il prezzo relativo delle esportazioni italiane è più alto rispetto al costo delle importazioni, perché abbiamo industrie e piccole e medie imprese di eccellenza globale, con un “valore” pregiato sui mercati internazionali.
In realtà, la “produttività” italiana è calata drammaticamente a causa del costo gli interessi sul debito, mentre nel contempo migliorava la bilancia dei pagamenti e i terms of trade. Inoltre, le banche italiane, riempite di titoli di debito pubblico, che Draghi ha incitato ad acquistare, non fanno più il loro “mestiere” di finanziare le imprese, la crescita e l’occupazione.
Ora i mercati si agitano, minacciano l’talia, lo spread sale e la borsa scende.
Le rassicurazioni all’Europa offerte da Giuseppe Conte, incaricato di formare il governo, hanno garantito una tregua di poche ore rotta ieri dopo che il segretario della Lega Matteo Salvini ha promesso che il governo farà “l’opposto di quello che l’Ue chiede di fare”
“Abbiamo degli strumenti di tortura in cantina” contro i paesi ribelli., scherza (ma non tanto) Juncker. E abbiamo tutti visto come ha saputo usarli anche contro la Grecia.
Il Prof. Athanasios Orphanides, professore al MIT di Boston ed ex governatore della Banca Centrale Europea, dice che questi “strumenti” sono il controllo della BCE sullo spread dei Buoni sovrani e la liquidità delle banche. “Essi minacciano i governi che si comportano “male” di distruzione finanziaria. Si sforzano di trascinarli ad accettare “volontariamente” le direttive, col terrore”, dice. “Li tagliano dal rifinanziamento del debito e minacciano di uccidere il sistema bancario. Creano a bella posta una crisi di rifinanziamento del debito. Lo hanno fatto appunto all’Italia nel 2011”.
Evans Pritchard, uno dei migliori giornalisti economici europei, ha scritto sul Telegraph: “Gli strumenti di tortura di Juncker non servono contro la ben agguerrita insurrezione italiana”, in risposta alla battuta di Juncker.
L’Italia, infatti, è “in avanzo primario” da quasi trent’anni. Ciò significa che, eliminando gli interessi sull’enorme debito, saremmo in attivo. Se i tedeschi e l’UE ci obbligassero alla bancarotta staremmo a galla, anzi non pagheremmo più i quasi 80 miliardi di euro ANNUI con cui serviamo annualmente il debito. Torneremmo immediatamente di nuovo solvibili e super-competitivi per la svalutazione monetaria, e quindi i mercati finanziari, pieni di liquidità e assetati come sono di rendimenti, farebbero la fila per comprare i BoT – e indebitarci di nuovo.