Giusto dieci giorni fa, a conclusione di una epica maratona organizzativa con l’European Fair Play Movement, a Roma, finivo finalmente ospite dell’Associazione dei Comitati Olimpici Europei e della Organizzazione del Friuli Venezia Giulia lanciata verso i Giochi Invernali EYOF del prossimo gennaio, proprio nel contesto giusto, quello dell’Ara Pacis di Augusto, in un clima di straordinaria corale esaltazione con il VA’ PENSIERO di Giuseppe Verdi…
Va, pensiero, sull’ali dorate Va, ti posa sui clivi, sui colli, Ove olezzano tepide e molli L’aure dolci del suolo natal! Del Giordano le rive saluta, Di Sionne le torri atterrate… O mia patria sì bella e perduta!
Sulle spalle e nelle gambe il crepitio di una inusitata stanchezza, nel cuore l’angoscia di chi sta dalla parte di coloro che promuovono e realizzano a mani nude, nel limbo del sostegno non oneroso di istituzioni asfissiate da miasmi antichi, generati dalla micidiale combinazione tra burocrazia e autoreferenzialità. Per la testa, invece, l’incontenibile euforica determinazione di chi sente di dover arrivare al traguardo, quello che ogni agonista della vita dovrebbe avere sempre davanti, nel rispetto di se stessi e degli altri.
E’ un po’ che non scrivo quel che sento ogni giorno lievitare dalla mia fluente incontenibile fantasia e francamente ogni scelta potrebbe essere al contempo liberatoria come imbarazzante, perché il vento della verità subisce continue variazioni direzionali e se interviene il metro comparativo della memoria, si fa presto a concludere che la prospettiva potrebbe essere quella di affermare concetti e opinioni suscettibili del contrario in tempo reale e a nostro stesso giudizio. Ma tant’è dunque e occorre scendere in campo, esprimersi oltre le celebrazioni ed i simboli che pur hanno ruolo, com’è capitato al Foro Italico, allo Stadio di Domiziano e al Campidoglio con EFPM e CNIFP a sessantacinque anni dal Trattato di Roma, pietra angolare per quel che è e quel che sarà l’Europa.
La prima considerazione riguarda proprio la pace come contrappunto ad ogni forma di guerra, con tutte le ricadute sistemiche ambientali, economiche, sociali… Se la guerra è per la guerra o peggio è artatamente finalizzata a destabilizzare equilibri che limitano le opportunità di profitto per taluni a danno dell’intera collettività, allora abbiamo il dovere dell’analisi e della presa di posizione.
La seconda riflessione, quasi una metafora, si riferisce alla desolante ritualità di COP 27 adesso in Egitto, svuotata proprio dalla irragionevolezza di chi è legato ad interessi politici ed economici di tale portata da divenire obnubilanti, ma non di meno meschini e vergognosi, tali da togliere ogni credibilità a molti partecipanti, peraltro lobbisti del degrado ambientale.
La terza annotazione, scontata per la sua attualità nella quotidianità, ci conduce al paradosso che i nuovi “Corsari Barbareschi”, quelli che dei flussi migratori si avvalgono come fonte di arricchimento da millenni, oggi sono soltanto il mezzo utilizzato da chi determina il fine e quindi di chi con premeditazione pelosa espropria le etnie delle proprie risorse naturali con ogni mezzo, guerre mirate comprese, sospingendole fuori dai loro territori. La migrazione è costante e palesemente frutto di una organizzazione. L’Italia non è strutturata seriamente per l’accoglienza. Dopo il “salvataggio”: decine di migliaia di umani, provenienti da ogni dove, vagano in attesa di essere inseriti dal sistema in grande affanno e vivono da invisibili in condizioni assolutamente precarie in giro per il Bel Paese, aspettando Godot. Provate a riflettere su chi sta svolgendo queste attività in Africa e non solo, su chi detiene e gestisce con le buone o le cattive petrolio, gas, terre rare, minerali preziosi o discariche per i rifiuti nocivi. Fatevi qualche domanda su quel che sta capitando dal 1988 in poi, quando con il Muro caddero anche parte delle barriere ideologiche e venne meno il Freddo della Guerra. Da allora, quanta parte del mondo è andata in malora a man salva per mero calcolato lucro e in nome di falsi ideali.
La quarta ed ultima puntualizzazione è quella sullo sport dell’apparire, che manifesta il proprio malessere, che paga il proprio tributo a fronte della esasperazione da podio o se preferite da medaglia o da primato. Il confine tra dilettantismo professionismo è caduto il giorno stesso che nel 1896 gli organizzatori della prima edizione dei Giochi Olimpici moderni, ad Atene, impedirono all’umile operaio Carlo Airoldi di correre la Maratona, dando via libera alla vittoria di bandiera e al mito del contadino soldato Louis Spyridon… Airoldi venne strumentalmente accusato di professionismo per aver percepito “premi” a fronte di reiterate vittorie da strapaese e non pochi sacrifici personali… Nessuno soccorse il povero Airoldi, vittima di una palese ingiustizia e la stessa storia oggi stenta a risarcirlo, perché lo sport inteso come puro agonismo è sostanzialmente rappresentativo del cinismo. Uno vince e tutti gli altri perdono. Care ragazze e ragazzi, purtroppo occorre farsene una ragione, salvo giungere alla conclusione che chi fa la scelta del “professionismo” sportivo ne accetta tutte le componenti di rischio e ancorché di ipotetico vantaggio, salvo fare la scelta socioculturale, quella dello sport per tutti.
Ecco, dunque e infine, che rimane la via maestra, la soluzione ideale, quella che la pratica sportiva sia un diritto esercitabile piuttosto che una opportunità elitaria, che rimane comunque come una scelta consapevole. Se la piramide dello sport, se i cinquantanove milioni di italiani fossero tutti a vario titolo in attività quanta salute in più e meno spesa dello Stato avremmo, ma ancora paradossalmente quante medaglie podi, titoli e primati potrebbero essere annoverati in più o in meno, come capita in paesi in cui l’attività fisica e motoria è al top . Oggi, gli “azzurri” blasonati che arrivano al Quirinale sono per l’ottantacinque per cento militari, frutto del lavoro di affinamento nei “centri”, di concerto con CONI e Federazioni, ma anche dimostrazione che la piramide è tronca e che, tra la cuspide e la base, lo sport di mezzo è sostanzialmente un vuoto in attesa di essere riempito con un progetto di riforma degno della nostra società civile.
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