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In libreria il nuovo libro di Marco Visinoni: “Teatro Pereyra”

Un romanzo totalmente contemporaneo che si caratterizza per la bella scrittura e un'ironia urticante

È una frase da film in bianco e nero.

È così che inizia Teatro Pereyra, il nuovo romanzo di Marco Visinoni, edito da Arkadia Editore, con il quale lo scrittore ha già pubblicato Il caso letterario dell’anno (2018). La trama è avvincente e, come in un film, le scene si succedono e s’intersecano nella mente del lettore con la sapiente tecnica del flashback. Il romanzo si caratterizza per la bella scrittura e per un’ironia urticante. È la storia di un manager farmaceutico di successo, del suo crollo umano e professionale.

Emergono tutte le dinamiche malsane delle grandi multinazionali – mondo che l’autore conosce dall’interno, avendo lavorato per anni come dirigente per grandi aziende del belpaese. E poi l’individualismo e l’ossessione per il risultato, la sessualità pornografica e svuotata di sentimento che caratterizza il nostro tempo, la costante ricerca di piacere e l’abuso di sostanze volte a mascherare il dolore, a occultare il vuoto e la mancanza di senso di queste nostre vite. È un romanzo cupo, violento e privo di redenzione. Per questo, totalmente contemporaneo.

Abbiamo incontrato Marco e scambiato quattro chiacchiere con lui.

Ciao Marco, piacere di conoscerti. Puoi parlarci un po’ di te e dirci come ti sei avvicinato alla scrittura?
Ciao Eleonora, piacere mio. Da che ho memoria, ho sempre scritto, dai piccoli racconti del liceo fino ai romanzi dei vent’anni. Il salto avvenne dopo aver letto un romanzo che mi cambiò la vita (L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon).

Ho letto con interesse e attenzione il romanzo. Mi ha colpito molto lo stile, realistico, quotidiano e spesso “crudo”. Scrivi sempre così o è una scelta legata alle tematiche del libro?Sicuramente le tematiche del romanzo hanno inciso sullo stile. Mi piace lavorare per immagini, forse perché da ragazzo ho amato il cinema ancora prima che la scrittura. In questo caso, le immagini sono particolarmente crude, perché crudo è il protagonista e l’universo in cui si muove: un uomo perso nel labirinto dei propri demoni, lanciato a tutta velocità verso lo schianto, non poteva che ispirare una scrittura veloce, distruttiva e diretta.

Cosa ti ha spinto a sviscerare così bene la vita, i sentimenti e i pensieri di un manager farmaceutico? E come mai conosci in maniera così approfondito questo mondo?
Non ho mai lavorato in ambito farmaceutico, ma è un mondo che mi affascina e che ho studiato a fondo, perché fa parte di tutte le nostre vite ma allo stesso tempo è un’organizzazione misteriosa, settaria e sconosciuta. Conosco invece per esperienza personale l’universo di un manager, la pressione sui risultati, l’individualismo e gli eccessi che lo possono caratterizzare.

Perché questo titolo e perché Ibiza?
Il titolo, che riprende il nome di una discoteca storica di Ibiza, è stato scelto per essere spiazzante: sembra evocare atmosfere classiche (il mondo del teatro, il Pereira di Tabucchi), poi il lettore apre il romanzo e si ritrova scaraventato in un incubo contemporaneo. Ibiza è la location ideale per una vacanza all’inferno, dove tutto può succedere, legale o illegale che sia. Perfetta per ambientare un romanzo fatto di notti infinite, eccessi di ogni genere, sesso consenziente o meno, droghe sperimentali e albe apocalittiche.

Qual è l’effetto principale che vuoi sortire con il romanzo? Catartico, oppure vuoi far riflettere su qualcosa in particolare o denunciare una situazione?
Non scriverei mai per denunciare, non sono uno scrittore politico. Quando scrivo non mi do un obiettivo, se non quello di raccontare qualcosa di originale, di percorrere una strada poco battuta, e di farlo nel modo migliore possibile. Teatro Pereyra tocca il fondo dell’animo umano, e lo fa non in senso metafisico o dostoevskiano, bensì esplorando la fisicità dei nostri anni e le ossessioni che li caratterizzano. Scrivendolo, ho capito che non siamo mai del tutto usciti dagli anni ’80. Che quell’epoca di eccessi è rimasta incastrata nei nostri corpi e nelle nostre anime.

Che cos’è un’ossessione per te e “perché tutto parte da lì?
Non sono uno scrittore su commissione, non mi capita mai di sedermi e dire “ok, pensiamo a qualcosa da scrivere.” Per me la scrittura è un’ossessione: se una storia o un personaggio mi perseguitano fino a togliermi il sonno, allora significa che è il momento di sedersi a scrivere. Scrivere per me è la cura per liberarmi da un’ossessione. Per questo possono passare anni senza scrivere, oppure che io scriva un romanzo in pochi mesi. Dieci anni fa ho concluso un libro in una settimana, scrivendo giorno e notte.

Cosa ti piace e cosa non ti piace del protagonista del romanzo?
È difficile trovare qualcosa di gradevole in lui. È ossessionato dal successo, dal sesso, dalla droga, da tutto ciò che possa porlo su un piedistallo a discapito di chiunque altro. Vuole vincere e che tutti perdano, si nutre di questo. Non lo giudico, penso che i suoi eccessi siano in tutti noi, in alcune fasi della nostra vita. E che i demoni debbano essere guardati in faccia, o torneranno a perseguitarci.

Che posto occupa l’amore in Teatro Pereyra?
L’amore è ciò che la nostra epoca individualista cerca di negare. Il protagonista di Teatro Pereyra – che è un archetipo del nostro tempo – vuole negarlo a tutti i costi, soffocandolo tra le maglie di un presente rimosso e di un eterno godimento. Ma l’amore è parte di noi, per quanto cerchiamo di negarlo o soffocarlo. Sarà l’amore a far traballare il suo superomismo autodistruttivo, anche se forse sarà troppo tardi.

Con quale messaggio vuoi salutare i nostri lettori?
Vorrei che leggeste Teatro Pereyra guardandovi dentro, senza giudicare. Abbiamo tutti un cuore buio, nascosto o in piena luce. Solo accettando i nostri lati oscuri, le parti di noi che preferiremmo ignorare, riusciremo a trascendere le nostre paure e ad accettarci come completamente umani.

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