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Al Qatar i Mondiali sono serviti per ribadire la propria potenza

Già si sapeva che l’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani, avrebbe sfruttato i Mondiali di calcio per dimostrare al mondo tutta la sua potenza. Del resto si tratta di un sovrano assoluto, a capo di uno Stato minuscolo ma dotato di enormi riserve di gas e petrolio.

Il che gli consente di fare più o meno ciò che vuole e di giocare senza problemi su più tavoli. Vicino a Doha, capitale del Paese, si trova una delle più grandi basi militari USA all’estero, utilizzata anche dai britannici. Quest’ultimi e gli americani stanno ben attenti a non irritarlo per non perdere la base suddetta, preziosa vista la perenne turbolenza dell’area sulla quale si affacciano anche Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Al contempo è noto che il Qatar appoggia e sponsorizza numerosi gruppi fondamentalisti islamici, per esempio i “Fratelli Musulmani”, mentre sono sempre stati opachi i suoi rapporti con l’ISIS.

Chiedere all’emiro di rispettare i diritti umani dei cittadini filippini – e asiatici in genere – che vi lavorano è del tutto inutile giacché i qatarioti faticano a comprendere la nozione di “diritti umani”: non fa parte della loro cultura.

E l’emiro ha già fatto capire che se gli europei insisteranno a proporre questo tema vi saranno gravi conseguenze. E’ subito scattata, infatti, la minaccia di tagliare le forniture di gas all’Unione Europea, il che è molto preoccupante visto quanto sta accadendo con Putin.

Anche l’enorme giro di tangenti a favore di esponenti del Parlamento UE non dovrebbe meravigliare più di tanto. La natura umana è debole e molti, quando annusano l’odore dei soldi, perdono ogni ritegno.

Confesso però che la meraviglia più grande l’ho provata leggendo le reazioni di stampa e mass media a un fatto accaduto durante la premiazione dei vincitori della finale. A un certo punto l’emiro, quasi con noncuranza, ha messo sulle spalle di Leo Messi il bisht, il tipico mantello scuro qutariota in uso anche in atri Paesi arabi. E il mantello ha parzialmente nascosto i colori bianco e celeste della maglia argentina.

Dove sta, però, lo scandalo? Messi, oltre a essere il capitano dell’Argentina, è un dipendente dell’emiro poiché gioca nel Paris Saint-Germain, squadra di Parigi di proprietà di un fondo sovrano qatariota (e quindi dell’emiro stesso). Non basta, poiché pure il francese Kylian Mbappé, migliore marcatore del torneo, gioca nella stessa squadra ed è quindi un dipendente dell’emiro (anche se a lui non ha messo il bisht sulle spalle).

Entrambi ricevono stipendi da favola, ed è presumibile che ne siano assai soddisfatti. Chi critica Messi per aver accettato che il mantello nascondesse i colori argentini non si rende conto che il calcio è ormai una questione di soldi. Solo chi li ha vince, e chi ne privo perde. Le squadre dipendono di solito da ricche famiglie disposte a investire. Basta rammentare il destino della Sampdoria quando i Mantovani si defilarono, o quanto sta accadendo alla Juventus per la crisi degli Agnelli.

Non scandalizziamoci più di tanto, quindi. Se l’emiro decidesse di acquistare una squadra italiana vi sarebbero reazioni entusiaste dei suoi tifosi, sicuri di un futuro pieno di vittorie. Gli inni nazionali contano, ma è il denaro a garantire il successo.

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Michele Marsonet

Filosofo, Professore di filosofia della scienza e metodologia delle scienze umane, Presidente del dipartimento di filosofia e vicerettore per le relazioni internazionali dell’Università di Genova

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