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TROPS, L’ARCA PERDUTA DELLO SPORT – L’editoriale del Direttore

Giusto il tempo di avvertire l’interludio tra il totale lockdown e la parziale ripresa in solitaria, ricevere i primi segnali di vita, ma anche per capire che effettivamente le regole del gioco sono traumaticamente cambiate. Tentare d’ingannare il tempo, continuare a puntare contemporaneamente sul rosso e sul nero, nella speranza che il banco non vinca, è come affidare la sopravvivenza ai sogni, quelli che generano i numeri della speranza cabalistica, buoni giusto per il tempo necessario a raggiungere il botteghino con gli spiccioli superstiti. Ecco, l’interminabile kermesse al Casino del Bel Respiro, con il Premier Conte palesemente affaticato, mi suggerisce l’idea che forse occorrerebbe fare una mossa contraria, uscire dai meandri del Giardino Segreto dei Pamphilj ed andare alla ricerca di quel che con certezza non sappiamo, ma ci manca. Magari proprio di quella simbolica Arca Perduta, che gli Italici vanno cercando da decenni, senza la necessaria convinzione. Per quanto mi riguarda, non vi nascondo che amo partire da situazioni di prossimità, da indizi e motivazioni che sono in grado di decrittare o se preferite cercare di comprendere meglio di altri. Dunque lo sport, ma non quello che i più intendono nei bar, in tribuna o davanti alla tv, ma l’altro da cui provengo, quello con una mezza tuta ed un paio di scarpe di gomma senza firma, del provare a sudare, della saliva impastata, della gioia per un ristoratore refolo di vento e dell’umano incontro per un comune ideale di vita, correndo incontro alla salute. Ma, a questo punto, vi chiederete, ma che ci azzecca questa visione onirica del benessere, del canta che ti passa, con l’economia del Paese, quella che presuppone cinici “Euroni”, piuttosto che estroversi neuroni? Ecco, questo è quel ci differenzia, e che – come capitò all’ipercreativo Archimede con “Eureka!” – ci porta ad urlare “Trops!”. Si, Trops, come Sport al contrario. Quello che comunque non viene minimamente preso in considerazione, come opportunità di sviluppo, ma appena come area su cui far piovere bonus per istruttori, animatori e piccoli sodalizi, peraltro sbalorditi per le inusitate attenzioni caritatevoli. E allora? Allora, lo sport non ci risulta essere stato argomento preso in considerazione per gli appuntamenti in Villa, nemmeno quello riottoso al distanziamento dell’industria del calcio, che adesso ricorre alla computer grafica per riempire gli stadi divenuti più muti dei campetti negli oratori. Lo sport ancora viene vissuto come un problema, magari d’ordine pubblico, cui dare delle soluzioni, in funzione della lodevole prospettiva di un migliore livello di salute e magari d’educazione, semmai si riuscisse ad operare il miracolo di reintrodurre l’attività motoria nella scuola primaria, dopo centoquarantadue anni dalla Legge dell’ottimo De Sanctis, che l’aveva istituita d’obbligo. In realtà, a chi dovrebbe farsene una ragione economica positiva, sfugge il fatto elementare che l’attività sportiva è oro, nella sua perenne naturale motilità nel tessuto sociale, sull’intero territorio nazionale e nel respiro internazionale, a prescindere dai grandi eventi canonici, quelli che pompano danaro pubblico e seminano il deserto di cattedrali. Perché lo sport nella sua intrinseca essenza, di fenomeno alieno e spontaneo, come l’erba dei campi, genera opportunità fatte di grandi numeri, straordinarie e senza gli algoritmi tipici del turismo. Perché, al contrario, fruendo o generando sinergie che potrebbero elevarsi a potenza, senza stagionalità e con i valori aggiunti della cultura e delle tipicità dei territori, nel funzionale clima della festa, giusto quello da cui ancora si estrinsecano i giochi di tradizione popolare, quelli da cui nel tempo si sono distillate le discipline assurte sino al programma olimpico moderno, lo sport, inteso come attività a prescindere da orientamenti di politica e religione, rimane l’unica grande opportunità per intermediare con la socialità e sostenere naturalmente anche la ripresa e lo sviluppo. Quello che occorre, è trovare il modo di occuparsi di Trops, dell’alternativo al codificato agonismo fine a se stesso, come opportunità fatta di scelte nuove e diverse, di una possibile economia di scala, che nella sua complessa globalità, se opportunamente ricompresa in una strategia da progetto, potrebbe portare a benefici significativi, a cominciare dalla riqualificazione del lavoro indefesso degli operatori volontari d’ogni livello , in gran parte vanificato dalla mancanza di veri obiettivi di fondo per l’associazionismo sportivo, mentre diversamente la domanda individuale cresce spontanea e le amministrazioni locali tendono a gettare la spugna per insufficienza di risorse, vuoi per le attività, vuoi per la gestione degli impianti, così condannati al precariato ed alla fatiscenza. Dunque, prendiamo coraggio e cominciamo a ragionare, a parlare fuori dai denti, ad ipotizzare sana diversità, a non vergognarci di manifestare idee confacenti alla concretezza, seppure di nuova concezione. Lo sport come movimento globale di decine e decine di milioni di cittadini può e deve divenire area d’interesse primario per le scelte di governo, ma, ripeto, occorre comprenderne anzitutto la valenza sociale e il ruolo sviluppatore. In sostanza, occorre scendere dagli spalti e invadere il campo, lanciare la palla e giocare tutti.

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