IL SEGRETO DEI CAMPIONI, DA MARADONA A ROSSI – Credo proprio che il destino dei campioni sia quello di entrare nella leggenda. Diversamente, quel che ci sarebbe da dire finirebbe per affliggere, affogare nella normalità, ammorbarci con la tiritera delle statistiche. Insomma, quanti gol piuttosto che partite, quanti canestri e quante volte sotto i dieci o i venti secondi, nei classici cento e duecento dell’atletica, piuttosto che dei ko inflitti o subiti o delle fughe tra le nuvole sulle due ruote. Il concetto, dopo la dolorosa universale condivisione emotiva per la dipartita degli ultimi due iperborei, i virtuosi del pallone Diego Armando Maradona e Paolo Rossi, è definitivamente chiaro ed è quello che non basta vincere, ma come e quando, andando incontro alla gloria e sapendola cogliere, in una sorta di tempesta perfetta. Per questo, Giove Olimpico da sempre riserva le fronde e le corone tratte dagli ulivi dell’Altis a pochi, pochissimi eletti, capaci di trasmutarsi in semidei, di mutuare l’energia degli umani acclamanti e di purificarsi a tempo debito, svanendo come sogni tra nubi misteriche. L’addio di Maradona e Rossi, come il distacco terreno di Coppi, Mitri, Senna, Mennea ed Alì, come i pindarici voli di Marciano e Bryant, preceduti dallo schianto del Grande Torino a Superga nel 1949, ci hanno lascito tutti orfani del loro e del nostro immaginifico futuro, quello che ci sostiene nel divenire, sognando delle altrui imprese, come indecifrabili messaggi di una formula apparentemente segreta, quella dell’ottimismo della volontà combinata con l’innato talento.