La salute degli italiani è in serio rischio, colpita da cattivi stili di vita e poca prevenzione, nonché da un invecchiamento irrefrenabile della popolazione che vede, in assenza di una quota sufficiente di nuovi nati (nel 2021 i nati sono stati poco più di 400 mila, 4.500 in meno rispetto al 2020), l’età media degli italiani superare i 46 anni; l’età media del Bel Paese supererà i 50 anni tra meno di 30 anni, quando con pochi bambini diverremo un popolo di anziani e adulti attempati. Tutto ciò rischia di entrare in rotta di collisione con un sistema sanitario sempre più fragile e sotto-finanziato, specie se lo si confronta con i sistemi sanitari dell’Unione Europea.
I dati parlano chiaro, nel 2022 la spesa sanitaria pubblica si è attestata a 131 miliardi (6,8% del PIL), la spesa a carico dei cittadini a circa 39 miliardi (2% del PIL). I confronti internazionali evidenziano, nel 2020, che la spesa sanitaria dell’Italia, a parità di potere d’acquisto, si è mantenuta significativamente più bassa della media UE-27, sia in termini di valore pro capite (2.609€ vs 3.269€) che in rapporto al PIL (9,6% vs 10,9%).
Il nostro Paese si colloca al tredicesimo posto della graduatoria dei Paesi UE per la spesa pro capite, sotto Repubblica Ceca e Malta e molto distante da Francia (3.807€ pro capite) e Germania (4.831€), mentre la Spagna presenta un valore di poco inferiore a quello dell’Italia (2.588€). Germania, Olanda, Austria e Svezia sono i Paesi con la spesa pro capite, a parità di potere d’acquisto, più elevata, prossima o superiore ai 4.000€. Per la spesa sanitaria rispetto al PIL, l’Italia occupa la decima posizione insieme alla Finlandia. Francia e Germania sono i Paesi con l’incidenza più elevata, superiore al 12%; i confronti internazionali confermano che la spesa sanitaria in Italia, anche nel primo anno di pandemia, si colloca su livelli inferiori rispetto a quelli di altri importanti Paesi dell’UE (Francia e Germania) e al di sotto della media europea, sia in termini di valore pro capite (2.609€ vs 3.269€) sia in rapporto al PIL (9,6% vs 10,9%).
Il peso della pandemia si avverte con l’eccesso di mortalità registrato in Italia nel 2020 rispetto al periodo pre-pandemico, che è del +10,2%, tra i più elevati in Europa (anche se il dato potrebbe essere in realtà l’effetto di una sotto-notifica dei decessi COVID-19 negli altri stati membri), superato solo da alcuni Paesi come Spagna e Polonia (rispettivamente 11,0% e 13,2%). La media dei Paesi UE-27 è pari a +5,7%. Nel 2021 l’eccesso italiano (+3,6%) scende sotto la media europea (+7,0%), che rimane elevata a causa dell’impennata nell’eccesso di mortalità nei Paesi dell’Est-Europa (tra questi Bulgaria con +32,3% e Polonia con +21,6%).
L’elevato eccesso di mortalità registrato nei due anni di pandemia si è tradotto in una diminuzione della speranza di vita in quasi tutti i Paesi europei con una perdita in media di 1,2 anni di vita attesa nel 2021 rispetto al 2019. L’effetto complessivo sulle aspettative di vita è ancora negativo in tutti gli Stati membri dell’UE, ad eccezione di Lussemburgo (+0,1 anni), Malta e Svezia (stesso livello nel 2019 e nel 2021).
L’analisi della mortalità evitabile riconducibile ai servizi sanitari (amenable mortality) – che nel periodo 2018-2019 è pari a 63,98 per 100.000 mentre era 65,53 nel biennio 2016-2017-, mostra che, nonostante la diminuzione complessiva del dato, è ancora molto alta la quota di decessi attribuibili ai tumori e alle malattie cardiocircolatorie: infatti, il 70% dei decessi evitabili registrati negli ultimi 2 anni disponibili è dovuto, ai tumori maligni del colon e del retto (19,13%), alle malattie cerebrovascolari (17,96%), ai tumori maligni della mammella (16,88%) e malattie ischemiche del cuore (16,03%). Questi decessi si sarebbero potuti evitare se le condizioni che li hanno causati fossero state intercettate per tempo con le campagne di screening. I valori più bassi tra le regioni si registrano nella PA di Trento (46,42 per 100.000) e più alti in Campania (81,41 per 100.000).
L’emergenza sanitaria per la gestione della pandemia da COVID-19 ha, infatti, lasciato il segno e si è tradotta, da una parte, in un ritardo e in una conseguente sostanziale riduzione dell’offerta dei programmi di screening organizzati da parte delle ASL e, dall’altra, in una riduzione di adesione da parte della popolazione, con il risultato che nel 2020 si osserva il rallentamento del trend in crescita della copertura dello screening mammografico che si andava registrando negli anni precedenti (come accade per gli altri screening oncologici), in particolare il ricorso allo screening su iniziativa spontanea tende ad aumentare soprattutto nelle regioni meridionali.
Secondo i dati PASSI, nel periodo 2020-2021 il 47% della popolazione target femminile si è sottoposta a screening per il tumore della cervice uterina (Pap test e/o HPV test), aderendo ai programmi offerti dalle ASL, ma una quota rilevante, pari al 30%, si è sottoposta a screening cervicale a scopo preventivo e nei tempi raccomandati per iniziativa spontanea. Nel Nord e nel Centro la quota di donne che si sottopone a screening per il tumore della cervice uterina nell’ambito di programmi organizzati è significativamente maggiore della quota di donne che lo fa su iniziativa spontanea (60% vs 25% nel Nord e 53% vs 32% nel Centro); nelle regioni meridionali la quota di donne che si sottopone a screening nell’ambito di programmi organizzati è fra le più basse (34%) e confrontabile con la quota di donne che lo fa su iniziativa spontanea.
Anche in questo caso, l’emergenza sanitaria per la gestione della pandemia ha lasciato il segno e si è tradotta, da una parte, in un ritardo e in una conseguente sostanziale riduzione dell’offerta dei programmi di screening organizzati da parte delle ASL e, dall’altra, in una riduzione di adesione da parte della popolazione.
La copertura media nazionale dello screening per il tumore del colon-retto è molto lontana dall’atteso: dai dati PASSI 2020-2021, il 44% della popolazione target riferisce di essersi sottoposta, a scopo preventivo, ad uno degli esami (ricerca del SOF negli ultimi 2 anni oppure colonscopia/retto-sigmoidoscopia negli ultimi 5 anni) per la diagnosi precoce dei tumori colorettali. Forte il gradiente geografico Nord-Sud ed Isole: la copertura dello screening per il tumore del colon-retto raggiunge valori più alti fra i residenti al Nord (67%), ma è significativamente più basso fra i residenti del Centro (56%) e del Sud e Isole (25%). Ampia la variabilità fra regioni: il dato più elevato di copertura si registra in Friuli Venezia Giulia con il 73%, quello più basso in Calabria con il 10% (dati standardizzati per genere ed età).
È fondamentale anche guardare all’assistenza territoriale, perché è sul territorio che si disegnerà la sanità del futuro: in questo ambito si noti che le prime visite specialistiche effettuate nel 2021 ammontano a 23 milioni e 600 mila (delle quali i due terzi prescritte dai MMG). Si tratta di un numero ancora inferiore all’anno pre-pandemico: nel 2019 erano circa 26 milioni e 700 mila. Per quanto riguarda invece le visite specialistiche di controllo nel 2021 ne sono state erogate 25 milioni e 243.346, delle quali circa il 58% prescritte da un medico specialista; nel 2019 erano circa 32 milioni e 700 mila.
Il volto degli italiani fragile e segnato da rughe – L’età media della popolazione, che è pari a 46,2 anni nel 2022 si stima raggiungerà i 50,6 anni nel 2050. Inoltre, nei prossimi decenni si prevede proseguirà il calo della popolazione residente dovuto al protrarsi del regime di bassa fecondità e alla graduale diminuzione dei flussi migratori dall’estero. Si prevede, infatti, che la popolazione residente passerà dai 59,2 milioni di abitanti attuali ai 54,2 milioni di abitanti residenti nel 2050.
L’Italia ha anche un altro triste primato, figlio di un welfare scarno che non aiuta le famiglie: è il Paese in Europa con la percentuale più alta di madri di 35-40 anni, il 35,4%, ovvero oltre una neo-mamma su tre.
Gli italiani sono sempre più in sovrappeso (il 12% della popolazione, quasi 6 milioni di adulti, è obesa e, complessivamente, il 46,2% dei soggetti di età ≥18 anni è in eccesso ponderale) e poco attivi, con più di un terzo delle persone (33,7%) che ha dichiarato di non praticare sport o attività fisica nel tempo libero (30,3% degli uomini e 36,9% delle donne).
La sedentarietà è dilagante anche tra i più giovani. Infatti, si evidenzia tra il 2020 e il 2021 un forte decremento della pratica sportiva tra i bambini e adolescenti di età 3-17 anni. In queste classi di età tra il 2020 e il 2021 si è osservato un vero e proprio crollo della pratica sportiva specialmente di tipo continuativo, diminuita di circa 15 punti percentuali (dal 51,3% al 36,2%) e compensata soltanto in parte dalla pratica di qualche attività fisica (dal 18,6% al 26,9%), svolta in modo destrutturato e, quindi, al di fuori delle palestre e dei centri sportivi interessati dalle chiusure. La sedentarietà è, infatti, aumentata dal 22,3% al 27,2%.
Il diabete, poi, dilaga tra gli obesi (il 15,5% di loro ne soffre) e i sedentari (quasi il 12%).
Gli italiani sembrano sempre più depressi: a partire dagli anni 2011-2012, a livello nazionale il volume prescrittivo dei farmaci antidepressivi ha registrato inizialmente un lieve aumento, pari a +1,8% dal 2013 al 2016, mentre successivamente l’aumento è stato decisamente più significativo, con i valori che tra il 2017 ed il 2021 hanno registrato un +10,4%. Nel 2021 il consumo di farmaci antidepressivi è stato di 44,6 DDD/1.000 ab die, facendo registrare un aumento del 2,4% rispetto al 2020.
E l’ambiente in cattiva salute ci fa ammalare – Riguardo ai fattori di rischio ambientali, il Rapporto mette in luce che, nel 2020, nelle acque superficiali, sono stati trovati pesticidi nel 55,1% dei punti di monitoraggio (nel 2018 la percentuale era 77,3% e nel 2017 era 72,4%). La maggiore presenza di pesticidi in Umbria (94,1%), Puglia (86,4%), Sicilia (81,6%), superano il 70% Piemonte, Lombardia e Veneto.
È quanto emerge in estrema sintesi dal XX Rapporto Osservasalute 2022, curato dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane che opera nell’ambito di Vihtali, spin off dell’Università Cattolica, presso il campus di Roma. Questa nuova edizione di 628 pagine è frutto del lavoro di 225 ricercatori distribuiti su tutto il territorio italiano che operano presso Università, Agenzie regionali e provinciali di sanità, Assessorati regionali e provinciali, Aziende ospedaliere e Aziende sanitarie, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori, Ministero della Salute, Agenzia Italiana del Farmaco, Istat.
“Il settore della sanità sta uscendo faticosamente dalla crisi generata dalla pandemia. Non siamo ancora in grado di stabilire quali ‘danni collaterali’ alla salute degli italiani abbia causato l’emergenza sanitaria. Quel che è certo è che non ci sarà un aumento consistente del finanziamento ordinario del Servizio Sanitario Nazionale da parte dello Stato, come testimonia lo stanziamento previsto nel DEF 2023 che prevede, per il 2025, 135 miliardi di euro e, per il 2026, 138 miliardi di euro. Si tratta di stanziamenti che lasciano sostanzialmente invariata la quota di ricchezza nazionale allocata sulla sanità pubblica, il 6,2% del Pil” – fa notare il direttore scientifico di Osservasalute Alessandro Solipaca.
“In Italia si corre il rischio di avere una tempesta perfetta, cioè da un lato l’aumento dei fattori di rischio per diverse malattie legati sia alla demografia della popolazione, sia all’epidemiologia con un importante aumento delle malattie croniche – sottolinea il professor Walter Ricciardi, direttore di Osservasalute e ordinario di Igiene Generale e Applicata Dipartimento di Scienze della Vita e Sanità Pubblica Università Cattolica, Campus di Roma, nonché Presidente del Mission Board for Cancer, Commissione Europea – e dall’altro il deterioramento forte di un Servizio Sanitario Nazionale che riesce sempre meno a garantire anche i servizi essenziali. Si allungano le liste d’attesa, mentre i pronto soccorso sono sempre più affollati e sempre più in ritardo, loro malgrado, nel dare risposte tempestive ai cittadini”.
“Bisogna che la salute e la sanità diventino una priorità dei decisori – aggiunge Ricciardi – cosa che in questo momento non è, bisogna anche che la popolazione diventi più consapevole di questa emergenza sanitaria, perché molto spesso i cittadini si rendono conto di questo deficit assistenziale solo quando hanno un problema di salute. Bisognerebbe cercare di garantire alla più grande opera pubblica del Paese, che è il Servizio Sanitario Nazionale, adeguati finanziamenti e supporto in tutte le regioni italiane”. Ed è proprio in occasione dei venti anni di Osservasalute che emerge con evidenza dirompente come “le disuguaglianze regionali in termini di assistenza sanitaria siano aumentate nel tempo, il che determina una sempre più forte spaccatura del Paese in cittadini di serie A e cittadini di serie B”, sottolinea il professor Ricciardi.