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Riflessioni del nostro Direttore sul degrado urbano e ambientale

In Italia si va ai ballottaggi, non soltanto con le buche, ma con il verde inselvatichito , la giungla che avviluppa inesorabile le nostre città e diviene esca ghiotta per piromani d’ogni specie. Negli ultimi due giorni a Roma, giusto mentre andavano in onda i minuetti tra candidati ed elettori, scoppiavano i primi incendi. Umberto Pasti, architetto, giornalista, scrittore è andato sino in Marocco, nelle periferie di Tangeri, per stupirsi dei narcisi, degli iris e dei piccoli animali a rischio come rospi e tritoni, ma non di meno ci sarebbe da stupirsi del lussureggiare di Roma, dall’EUR Laurentino a Monte Mario, dove interi Parchi Naturali, lembi e schegge non fossili dell’antica Campagna Romana sono in completo stato d’abbandono con i loro piccoli e grandi rappresentanti di una biodiversità vegetale ed animale, che si arricchisce ogni giorno di relitti e pattume, testimonianza del disastro antropico, che si giustifica con il fermo delle gare d’appalto per il verde, dopo la scoperta di “mafia capitale” e l’intervento prefettizio sulla Città. In realtà, si sta letteralmente scherzando con il fuoco e non si tratta di alcune situazioni, ma dell’intero Paese, dove i cantonieri, i giardinieri e gli spazzini sono spariti nel nulla, consegnando gli stessi centri storici, le aree archeologiche, gli impianti sportivi, l’arredo urbano ed i monumenti alla categoria delle aree a rischio, come quelle dell’idrogeologico e del sismico. Se aggiungiamo gli sfregi permanenti arrecati a man salva da improbabili artisti come i “graffitisti urbani” a immobili e mezzi mobili, come treni e metropolitane, gli accampamenti intorno alle stazioni ferroviarie e nelle periferie, i cassonetti svuotati da nomadi e disperati prima ancora che dalla nettezza urbana, il quadro è pressoché completo. Mi chiedo se, in nome dei vincoli economici europei e della ignavia di “capitani non coraggiosi” e “paragnosti” ostaggi della burocrazia, si debba essere rassegnati ad una sorta di condanna morte della Res Publica, quella stessa che abbiamo festeggiato con enfasi appena cinque giorni fa.

Ruggero Alcanterini

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