Come era inevitabile, ai prudenti approcci occidentali sulla emergenza libica, corrispondono acuti i toni aggressivi dell’ISIS e si accentua il ruolo del confinante Egitto. Noi tendiamo a rimuovere la realtà che ci accompagna in chiave geopolitica da circa duemilacinquecento anni, ma tant’è: il paese dirimpettaio e confinante per il destino, nel bene petrolifero e nel male della migrazione disperata, è proprio il Bel Paese, il nostro. Adesso, si ripropone il problema di metterci qualche cosa di diverso della faccia e il tempo rimasto per decidere ed agire è pochissimo, anzi scaduto. Si spera che qualcuno ci tolga le castagne dal fuoco, eppure noi di responsabilità storiche, sempre bel bene e nel male ne abbiamo una valanga. L’ideale sarebbe che fosse l’Europa nel suo complesso a mostrare la sua funzione, ma sappiamo che questo non avverrà se non per mano di solisti, come avvenne nel 2011, con tutte le conseguenze del caso. L’Italia è il primo partner commerciale della Libia. Siamo i maggiori acquirenti e i fornitori più importanti. Basti pensare che – solo in queste ultime settimane – il danno subito dalle nostre imprese è stato di almeno 100 milioni di dollari per le commesse in corso (secondo una stima approssimativa della Camera di commercio italo-libica).
Le pmi italiane solo nel 2014, quando già la situazione interna del paese era in gran parte deteriorata, hanno generato export per 3 miliardi. E parliamo di un anno in cui c’è stato un brusco calo delle nostre forniture meccaniche, dei mezzi di trasporto e dei semilavorati. Per non parlare poi dei crediti che le nostre imprese reclamano: a ottobre 2014, ammontavano a più di 650 milioni di dollari.
Ruggero Alcanterini