Prima ancora del sì e del no, di dare con il voto una risposta, mi pongo un interrogativo di fondo: la nostra Costituzione è da cambiare? La risposta che mi do, in piena coscienza e onestà intellettuale, è sì! Entrando nel merito, se ritengo che con il prossimo referendum si stia trattando dei temi giusti, giungo ad altrettanta certezza, ovvero che stiamo correndo dietro a falsi problemi con inutili soluzioni. E allora? Perché pronunciarsi con un sì o un no su qualcosa che non ha senso compiuto. Allora, bisognerebbe avere il coraggio di dire pane al pane e vino al vino. Bisognerebbe mettere da parte “ferri vecchi”, ma anche gineprai di anacronistici pesi e contrappesi, di artificiose maggioranze e soluzioni. Occorrerebbe ridare primato, rispetto e dignità alla politica, alla volontà dei cittadini, mantenendo il Senato al primo posto, come simbolo e coacervo di pulsioni e temperanze, quindi dare un senso compiuto al Parlamento, indipendentemente da numeri e costi, come risultante dell’ordine naturale, ovvero del proporzionale puro, ai livelli regionali, nazionale, europeo e non solo. Occorrerebbe che I Partiti non fossero ectoplasma e che i loro rappresentanti non fossero nominati, ma eletti, rispettosi della volontà degli elettori, quindi legati al vincolo di mandato. E il Presidente della Repubblica? Ma che diamine! Dovrebbe essere eletto direttamente con suffragio popolare. Infine, se si volesse cambiare veramente, bisognerebbe avere coraggio e consapevolezza, di pensare seriamente al futuro, che quanto sta accadendo oggi potrebbe essere fortemente pregiudizievole per domani, per le generazioni nuove e che verranno. Per questo, dovremmo fare bene attenzione a cosa significa compromettere le nostre risorse economiche, ambientali, territoriali e strutturali con scelte dettate dal contingente, da fattori emotivi indotti da eventi, di cui non ci possiamo limitare a prendere semplicemente atto. Lo so che sto parlando di un “fuori onda”, di un’isola che non c’è, di argomenti e quesiti che non ci verranno formalmente sottoposti il quattro di dicembre, ma sono convinto che la disaffezione al voto non sia un fenomeno da ignorare, che sia invece un segnale di dissenso forte e chiaro, che giunge da chi si sente escluso a prescindere e continua a pensare che la logica non sia una mera opinione.
Ruggero Alcanterini