Sabato, due giorni fa, a Vienna, mentre noi delegati di ventisette paesi del Vecchio Continente celebravamo un rituale congresso sulla teoria dell’etica e ci preoccupavamo delle manipolazioni dei risultati sportivi, alla ricerca del fair play perduto, ventimila tra rifugiati, immigrati e disperati, prevalentemente di fede e culture islamiche, sfilavano ordinati e silenziosi, guidati dal lampeggiare dei mezzi di polizia, da una nenia dolorosa e da striscioni su cui campeggiava la scritta “HUSSEIN”, che significa “buono”, ma anche “piccolo, bruno, unito”. La cosa che mi ha colpito è stata in questo caso l’assenza di attivisti estranei e la sostanziale indifferenza dei pochi passanti nel deserto della Karntner Strasse, fredda ed umida di tristezza autunnale.
Mi sono chiesto che senso avesse e che senso ha ostinarsi a credere che il mondo sia ancora quello ieri, quando pensavamo di essere infelici nella nostra incontentabile aspirazione al benessere ed alla qualità della vita, quando il Medioriente bolliva nel suo brodo e le sue pulsioni erano solo oggetto delle nostre curiosità per il diverso. Quasi di colpo, negli ultimi anni, per via della nostra perversa necessità di esportare presunti pregi occidentali e la cupidigia, che trascende dal legittimo interesse per gli scambi ed i commerci, per la stupidità di molti presuntuosi leader del mondo, che della globalizzazione profittano accelerando il suo sviluppo sino alla catarsi, siamo passati dal sogno all’incubo, dalla speranza in un mondo migliore alla tragedia di popoli interi, eviscerati della loro dignità, strappati dalle loro radici, quale orribile ferita che segna e mutila l’inizio del Terzo Millennio. Francamente, mi sono sentito fortunato nella mia straordinaria normalità e smarrito di fronte alle mani tese, alla richiesta di cibo, ai giovani accasciati tra gli stracci della rassegnazione lungo il percorso dell’opulenza. Bisogna riflettere bene sui valori che val la pena di mettere in campo, che val la pena di difendere, anche da parte di chi si occupa di sport e dei principi che lo ispirano.
Se il non rispetto delle regole e lo stile di vita scorretto a taluni può ancora sembrare una furba scorciatoia verso il successo nel mondo effimero, dell’apparire tra i protagonisti della fiera delle vanità, forse è venuto il tempo di pensare allo sport, in tutte le sue declinazioni, come ad una delle scelte strategiche che l’umanità può fare per salvarsi e che forse anche consapevolmente a fatto fin dalle sue origini, trasferendo nel gioco e nel campo, nella competizione e nel riconoscimento del merito quanto la vita collettiva appalesa, ma non sempre nella realtà viene rispettato.
Ruggero Alcanterini