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PER JONAS VINGEGAARD FAIR PLAY TRIONFALE NELLA RADHUSPLADSEN

Ma provate ad immaginare un mondo fatto di sorrisi e abbracci, di solidarietà di amicizia di rispetto, di riconoscimenti del merito, del sostegno ai talenti, privo di ingiustizie, menzogne, sano, integro, non inquinato, ma la contrario nel pieno fulgore delle sue incomparabili qualità … Voi mi direte che sto parlando magari del Paradiso Terrestre, quello negato da subito agli umani usciti difettosi dalle mani del Padreterno… E no, care amiche ed amici, non mi voglio imbarcare in complicate analisi alla Petrolini, del tipo … “Se l’ipotefosi del sentimento personale prostergando i prologomeni della sub-coscienza, fosse capace di rintegrare il proprio subietivismo alla genesi delle concominanze, allora io rappresenterei l’auto-frasi della sintomatica contemporanea che non sarebbe altro che la trasmificazione esopolomaniaca” … ma diversamente, molto più semplicemente riferirmi a quanto di straordinariamente positivo ha generato il campione ciclista Jonas Vingegaard con il suo comportamento “fair play” al recente Tour.

L’accoglienza trionfale, oceanica, riservatagli dai suoi connazionali a ritorno in Copenhagen la dice lunga su quanto sarebbe necessario ed opportuno fare per salvare il salvabile. Occorrerebbe porsi come obiettivo il diritto collettivo alla gioia e puntare con determinazione alla necessaria transizione madre, quella etica, ben più importante, anzi fondamentale per attuare con vantaggio il cambiamento nelle diverse possibili declinazioni, a cominciare dall’ecologico e dal digitale. Dovremmo metabolizzare appunto la filosofia del fair play, come chiave educativa fondamentale, ispirata alla correttezza, alla lealtà, al rispetto delle regole, delle persone e del contesto in cui viviamo – purtroppo facendo sempre più danno – pensando con devozione al suo straordinario mentore, William Shakespeare. Dunque, perché non farlo e cedere invece al cinismo del “mors tua vita mea”, che condiziona ogni atto che regola anche dissennatamente le collettività. Un giorno non tanto lontano non basterà più pentirsi e la Radhuspladsen potrebbe rimanere desolatamente deserta.

 

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