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Omicidio Saman, parla il padre: “Non l’ho uccisa io, è stato qualcuno in famiglia”

(Adnkronos) –
"Non ho ucciso mia figlia, non ho mai voluto ucciderla. Ma di una cosa sono sicuro, l'omicidio è avvenuto in ambito familiare". Sono le parole pronunciate da Shabbar Abbas in una pausa dell'udienza del processo a Reggio Emilia per l'omicidio della figlia Saman. Shabbar Abbas, ritratto abbracciato alla figlia nella foto esclusiva Adnkronos, è uno degli imputati: si è espresso con dichiarazioni rilasciate ai suoi avvocati difensori Enrico Della Capanna e Simone Servillo e riferite all'Adnkronos. "Sono convinto, ma certo non sono detentore della verità assoluta, che la morte di Saman sia stata un incidente – spiega ancora Della Capanna all'Adnkronos -. Le indagini, portate avanti in maniera pessima, hanno sempre insistito su una e una sola ipotesi, affievolendo le altre. Eppure sono diverse le alternative possibili nella dinamica dei fatti. Sappiamo che Saman quella sera uscì di casa vestita con jeans e scarpe ben allacciate per andare via, chissà dove. È probabile che si sia riparata in casa di qualcuno, un parente certo, che si sia messa comoda e lì, magari al culmine di una lite, sia stata uccisa. Vero è che, nella fossa nella quale è stata trovata, non aveva né le scarpe né i calzini che calzava la sera in cui è fuggita. Oppure, altra ipotesi, è che un parente l'abbia afferrata di forza per bloccarla, per non farla andar via, e nel farlo le abbia spezzato l'osso del collo". E la fossa? Un'ipotesi investigativa vuole sia stata scavata in più giorni. "È stata scavata il primo maggio – risponde l'avvocato Servillo – Ci avranno messo un’ora, non di più". Esclusa, dai difensori di Shabbar Abbas, la premeditazione, resta quindi da confutare, eventualmente, la testimonianza resa in aula dal fratello della vittima. "Ha detto di aver visto dall’uscio di casa lo zio Danish prendere per il collo Saman e portarla nelle serre – spiega l’avvocato Della Capanna – Io martedì sera, terminata la scorsa udienza, sono andato coi miei due collaboratori, nel punto in cui il ragazzo dice di aver visto la scena. La luce di cui parla è a distanza di oltre 200 metri e la luna, che a novembre ha la stessa luminosità che ha a maggio, non mi rendeva minimamente riconoscibile ai miei due soci. Nonostante io abbia la pelle bianca". Shabbar Abbas, presente in tutte le udienze, ascolta i racconti del figlio a testa bassa. Mai un sussulto, mai uno sguardo. "Ha paura per il ragazzo – dice l'avvocato -. Da subito non ha voluto coinvolgere il figlio. Nelle intercettazioni, quando diceva che avrebbe messo in mezzo lo zio, il cugino, lui gli diceva di non dire nulla, di restarne fuori. Quando poi è stato incalzato oltremodo, gli ha detto di dare la colpa a lui". E poi, sul rapporto di Shabbar con la figlia: "Voleva bene a Saman – precisa Della Capanna -. Al di là di quanto si è detto, c’è una foto che più di tutto lo racconta. Shabbar e sua figlia abbracciati sul letto, è stata scattata il 20 aprile, dopo la comunità. Ma soprattutto 10 giorni prima che di lei si perdessero le tracce". "Quando Saman è andata in comunità i miei erano preoccupati per il loro onore, perché in Pakistan avrebbero pensato male di noi" ha detto poi il fratello in aula. "Mio papà ha cambiato più di 10 account su Instagram per contattarla e convincerla a tornare a casa. Un giorno Saman ha fatto una videochiamata e mia mamma, vedendo che si era fatta i capelli biondi, ha detto a bassa voce ‘prostituta'". "Quando Saman fumava – conclude – mia madre le diceva di smettere, mentre mio papà, appena dietro, diceva che una volta tornata l’avrebbe sistemata lui, che la faceva fumare lui". (dall’inviata Silvia Mancinelli) —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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