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Editoriale

MARE NOSTRUM, MARE MAGNUM

Ruggero Alcanterini      Editoriale del nuovo Direttore Ruggero Alcanterini

Immaginate che Capo d’Anzio sia la prua di una nave protesa tra le onde di un Mare, quello che una volta era e che dovrebbe tornare ad essere Nostrum, ovvero un Mediterraneo amico, fonte di incognite, ma anche di speranze, di problemi, ma anche di opportunità. Sicuramente, per noi, questo Mare, così ricco di valori – tanto da meritare per l’ennesima volta la Bandiera Blu – è anche una sorta di brodo primordiale, da cui è nata e risorta più volte la nostra Comunità con la sua mitica ed affascinante storia. A guardarla meglio, quella cartina del 1822, rappresentante i due Porti, quello di Nerone e quello d’Innocenzo, ha la configurazione anatomica di un cuore, con il suo asse obliquo rispetto al sagittale della Città e voglio aggiungere, che se vogliamo dare un giusto valore allegorico a questo straordinario insieme, che si fonde con le radici del nostro divenire, allora possiamo coinvolgere finanche un’altro dei sommi della poesia, Giacomo Leopardi, magari accompagnato dalla Musa della Lirica, Erato, per rubare dall’Infinito quella ispirazione e quelle suggestioni straordinarie, che ci consentono di rappresentare un concetto visionario, ma fondamentale, della nostra Città e della sua Costa: “ … e mi sovvien l’eterno e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare.”
In questo ragionamento di taglio onirico ci sentiamo assolutamente confortati dalla visita e dal sapienziale pensiero del Cardinale Gianfranco Ravasi che, da par suo, ha voluto riservare a Papa Innocenzo XII, alla sua storia esemplare piena di simbolismi di assoluta attualità, uomo sobrio di fede e d’azione, naufragato dolcemente nel Mare Nostrum e rifondatore della stessa Anzio per grazia ricevuta. Quello che ci deve guidare nel rapporto con questo straordinario personaggio, che è il Cardinale Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, istituito da Giovanni Paolo II nel 1982 e al servizio del vero, del buono e del bello, è proprio l’idea che la sinergia avviatasi divenga suscettibile di sviluppi nella rinascenza, che auspichiamo. Quando Innocenzo XII tenne fede alla promessa fatta, avviando nel 1698 i lavori per il Porto Nuovo, si mise in moto inesorabilmente anche la riscoperta dell’antico, dei tesori che le rovine nascondevano e che da un paio di secoli avevano rivelato solo casualmente. Da quel momento, invece, iniziarono scavi sistematici e rinvenimenti di opere di valore assoluto e oggi incalcolabile, finite nei musei di tutto il mondo e in parte proprio in quelli Vaticani. Ravasi ha un concetto dotto e affascinante del bello, anche di quello materiale, finanche di quello fisico, ma in particolare di quello artistico. A tal riguardo, il Cardinale, facendo riferimento al Siracide, ove si contempla “ nell’interno dell’elogio dei grandi d’Israele, uomini che si sono appassionati a cercare la potenza della bellezza”, afferma: “Ecco il primo elemento della mia riflessione , la potenza della bellezza e perché dobbiamo in qualche modo riproporla ai nostri giorni , per quale ragione ? E’ una potenza, io direi grande ma anche oscura. I Greci l’hanno capito chiaramente, perché hanno messo nella genesi, se si vuole dell’arte, da una parte Apollo, se volete Hermes, che per esempio inventa la musica inciampando in un guscio di tartaruga e tendendo fili su di esso, scoprendo l’armonia; oppure se volete anche dall’altra parte Orfeo, la seduzione, il fascino della musica, ma anche Dioniso, l’aspetto dionisiaco, orgiastico, che la musica, l’arte e la bellezza creano fino ad avere persino l’ottundimento delle menti. Ecco ci sono due volti all’interno della bellezza, tutti e due necessari, io direi, perché noi siamo impastati di oscurità e di luce e la bellezza è anche nell’oscurità , è anche nell’interno del ”male” persino, del dolore, della lacerazione. “
Crediamo che l’idea del Cardinale Gianfranco Ravasi , ovvero che la bellezza, con la sua potenza, sarà in grado di salvare il mondo, debba essere condivisa. Di questo territorio, oggi fortemente permeato da attività antropiche e industriali, non sempre conciliabili con la sua salvaguardia, nel 1904, riferendosi ad Anzio e Nettuno, per un volume riccamente illustrato dai Fratelli Alinari, Edoardo de Fonseca scriveva: “ Ai molti incanti dei dintorni di Roma, si aggiunge quello incomparabile del mare. La distanza dalla capitale al littorale mediterraneo può essere superata in breve ora. … Le spiagge di Laurento, ove Plinio ebbe la sua splendida villa, sono le più prossime… Fra i luoghi più celebri del littorale , sono Anzio e Nettuno… dopo l’apertura della strada ferrata, le due piccole città hanno molto progredito e col nuovo sviluppo hanno reso ancor minore la già breve distanza tra l’una e l’altra, tanto che guardando l’insenatura dalla spiaggia di levante, Anzio e Nettuno sembrano una città sola. Il nome di Anzio ricorda l’antica città dei Volsci, da Dionisio chiamata splendidissima… Fra le rovine della villa imperiale fu dissotterrato ai tempi di Giulio II, l’Apollo detto del Belvedere; e a tempi di Paolo V il preteso Gladiatore de’ Borghesi, i busti di Adriano e di Severo… Davanti ad Anzio, nel 1378, la battaglia navale tra le vittoriose galere veneziane e quelle genovesi capitanate da Vettor Pisani e Luigi Fieschi . Ad oriente di Anzio, una bella via conduce lungo la spiaggia a Nettuno, dove un tempo era un Tempio dedicato al Dio del Mare. La città dovrebbe avere origini saracene, ma sicuramente è stata tra i possedimenti dei monaci di Grottaferrata (1163) e poi dei Frangipane, indi dei Colonna (XV Secolo)… Il costume delle donne nettunensi era ricco d’oro e argento, d’ornamenti… Da Nettuno la costiera si stende sinuosa fino alla Torre d’Astura… sono dieci chilometri lungo la spiaggia incantevole. Nell’uscire da Nettuno s’incontra un rivo che si crede sia il Loracina ricordato da Livio… poi la fatale Astura che offre la vasta veduta del littorale fino al Monte Circeo.”
Quando immaginiamo un futuro nuovo e diverso, questo è importante, ambizioso, fondamentale per l’intero quadrante storico, che traguarda Satricum per Aprilia, caposaldo del Latium Vetus con magnifico museo a Le Ferriere, Lavinium con area sacra e museo per Pomezia, Castrum Inui e la stessa Ardea vocate al mito di Enea. E a proposito di Ardea, vale la pena di ricordare che Furio Camillo partì da li per andare in soccorso di Roma e salvarla dal barbaro esattore, Brenno e dai suoi Galli. Oggi, dobbiamo denunciare che la via Laurentina che la congiunge alla Capitale è divenuta percorribile con grande pericolo. Diciamo che ci si potrebbe confortare sposando l’antico con il moderno, ovvero inserendo strategicamente una risorsa come il Museo Manzù, che gode ancora oggi di stima universale e una autentica venerazione da parte giapponese.
Ecco, dunque che, dal Mare Nostrum, stiamo passando al Mare Magnum dei piccoli grandi problemi, delle grandi ipotesi di riscatto e sviluppo, delle grandi opzioni possibili. Tra queste, non soltanto il recupero di opere d’arte, che continuano ad appartenere moralmente a questi territori e ci riferiamo alla Fanciulla d’Anzio, alla Artemide sparita, all’Apollo del Belvedere e al Nettuno colossale, ricoverati in Vaticano, ai due Gladiatori, quello a riposo e quello Borghese in combattimento, ospiti ai Capitolini e al Louvre, alla Venere Pudica di Anzio, ad Anubis e Zeus o alla splendida Amazzone e il Barbaro, a Cibele, quanto anche ad un degno funzionamento dei centri ospedalieri, dei depuratori, del sistema di mobilità… Diciamo comunque, che sul piano dell’arte, della bellezza rapita e della sua potenza assente dal contesto che l’ha generata, lo sbilancio appare formidabile ed è per questo, che rinnoviamo l’idea che le opere debbano, possano tornare a casa in qualsiasi modo. In questi primi giorni di luglio, il Ministro per i Beni Culturali, Dario Franceschini, ha lodato la formidabile messa in scena dei Cavalli Alati, incommensurabile, emblematica opera rappresentativa della cultura etrusca nel nuovo allestimento museale di Tarquinia. Lui, presente alla inaugurazione, ha voluto sottolineare la fondamentale esigenza che l’Italia sia un “Museo Diffuso”. Per questo, i Cavalli Alati, come i Bronzi di Riace, non sono a Villa Giulia e a Palazzo Massimo in Roma, ma nei territori di rinvenimento a sottolinearne la vocazione ed il ruolo storico, artistico, culturale, a farne da bandiera, a costituirne la potenza con la loro bellezza. Lo Stato non può soltanto prendere, ma deve anche dare e restituire, andando oltre gli antichi protocolli, che hanno impoverito e cancellato la memoria di tanti luoghi nobili, che hanno così perso identità e velleità, anche sotto il profilo socio economico, a beneficio di magazzini e scantinati, che rigurgitano di opere anch’esse per conseguenza prive di identità e ruolo. Per concludere, mentre salutiamo l’arrivo in Redazione di un personaggio vivace e tagliente come Pasquino, in trasferta da Roma per salutare Innocenzo XII, confermiamo la nostra presenza in conferenza alla Expo di Milano, a conferma che il fascino della Fanciulla D’Anzio è di facilissima percezione, che al di là del suo ipotetico ritorno fisico, è già in essere il suo ritorno nello spirito, nel nome di tutte le donne di talento del Mare Nostrum e del Mare Magnum.


Ruggero Alcanterini

 

 

 

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