Penso proprio che il secondo obelisco tributato a Guglielmo Marconi, dopo quello piantato al centro dell’EUR, a Roma, sia proprio la RAI, nata SIRAC nel 1923 dalla “Marconi Company” e trasformata in URI dal ministro fascista delle comunicazioni, Costanzo Ciano, che coordinò il primo compromesso o se preferite inciucio della storia dell’Ente, che sarebbe divenuto gioia e tormento, ovvero il tormentone degli italiani, accompagnandoli per i successivi novantacinque anni di storia. Già da quei primi momenti, con le trasmissioni che facevano cilecca per interferenze elettriche, il problema era di carattere politico ed economico, tant’è che l’inventore Guglielmo si dovette inchinare al preponderante ottantacinque per cento della FIAT che, con la Radiofono, piazzò alla presidenza il suo ex direttore amministrativo, Enrico Marchesi, anche se chi mandava in onda la prima trasmissione il 6 ottobre 1924, da Palazzo Corrodi, era proprio il buon Marconi, supportato da Luigi Solari, vice presidente URI di sua indicazione. Corsi e ricorsi storici, questa faccenda della RAI, lottizzata da sempre, ma ufficialmente ripartita per legge dal 1975, non è mai finita e mai avrà fine. Questa storia attuale del Presidente eletto, ma non confermato dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza, Marcello Foa, ha un illustre precedente, quello che riguardò Paolo Mieli, designato dai Presidenti di Camera e Senato nel marzo del 2003 e mai entrato in funzione, mentre nel contestato ruolo di Consigliere Anziano, attualmente ricoperto sempre da Marcello Foa, hanno avuto modo di sperimentarsi altri illustri predecessori, come Vittorio Emiliani, Francesco Alberoni e Sandro Curzi, tra il 2002 e il 2005. Cari amici, è evidente che questo è un “problema”, generatosi nel clima e nelle logiche proprie della seconda Repubblica, dopo che, sfasciata la prima, le componenti di lotta e di governo hanno assunto colori e sfumature ben diverse, in cui le radici ideologiche della Costituente sono pressoché scomparse con benefici in ambiti salottieri, finanziari, aziendali o “populisti”, quelli che però hanno vinto in modo netto nell’ultima consultazione elettorale. Se i tempi in cui i TG ed il resto venivano spartiti tra democristiani, socialisti e comunisti appaiono lontani e demonizzati come l’URI e l’EIAR, oggi, pur cambiando l’ordine e la qualità dei fattori, siamo di fronte alle stesse prospettive, allo stesso andazzo, per cui il concetto meritocratico, a beneficio della qualità e della pubblica utilità, rischia di finire in un angolo. Rimane infine una possibilità, ovvero che si metta in moto una stagione di riforme, magari supportate dal principio referendario e che quindi si esca dalla perversa spirale in cui l’Italia dei burocrati e dei legulei rischia di rimanere imprigionata sine die.
Ruggero Alcanterini
Direttore responsabile de L’Eco del Litorale