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L’illusione di prevedere la storia futura

Molti si chiedono perché è così difficile prevedere il corso futuro della storia. La risposta più ovvia rimanda ai limiti delle nostre capacità cognitive, anche se non tutti accettano il fatto che tali limiti siano in buona sostanza invalicabili. Si è disposti a riconoscere che non si può prevedere il destino di un individuo, ma per vari motivi alcune tendenze comuni alla filosofia e alle scienze sociali non rinunciano all’obiettivo di formulare previsioni attendibili quando esse riguardano entità complesse come società, nazioni e imperi.

E’ un sogno antico, presente in quanto tale sin dalle epoche più remote. Nonostante gli insuccessi il sogno continua a essere perseguito anche ai giorni nostri. Dal momento che siamo noi a fare la storia e ad esserne i protagonisti, deve pur esistere un “metodo” in grado di condurci alla previsione storica, proprio come c’è (secondo alcuni) il metodo che consente di prevedere i fenomeni naturali.

Il fascino che questo modo di pensare esercita sull’animo umano è perenne. Ne troviamo già tracce nelle civiltà antiche, che diventano poi più consistenti nel pensiero greco. Si noti che non sto parlando di autori come Gibbon, che analizza le cause di declino e caduta dell’impero romano. Con lui si può non concordare circa le cause, ma è chiaro che in casi come questo non s’intende tanto prevedere il futuro, quanto comprendere perché la storia passata ha assunto un certo corso piuttosto che un altro.

Il fascino perenne della previsione storica è invece chiaramente percepibile negli scritti di altri studiosi. Si pensi ai grandi affreschi delineati da Arnold Toynbee e Robin Collingwood e, soprattutto, da Oswald Spengler ne Il tramonto dell’Occidente. Qui siamo di fronte al tentativo di individuare per l’appunto un metodo in grado di farci capire “come andranno le cose”. La storia passata può fornirci gli elementi per prevedere quella futura. Spengler, in particolare, era convinto che gli avvenimenti storici abbiano un andamento ciclico, ragion per cui in base alle sue analisi sarebbe possibile capire con precisione se la civiltà nella quale viviamo è nella fase iniziale, di apogeo o di declino.

Notissime sono anche le critiche pungenti che Karl Popper ha rivolto a questo modo di concepire la storia, da lui definito “storicismo”. Ciò che più interessa ai nostri fini, tuttavia, è notare che il fascino per la previsione storica coinvolge anche molti filosofi, politologi e storici contemporanei. In questa direzione si muove, in fondo, il criticatissimo Francis Fukuyama con il concetto (hegeliano) di “fine della storia”.

E’ chiaro, in ogni caso, che una vera previsione storica sarebbe possibile solo se vivessimo in un mondo artificiale. Dovendo condurre le nostre esistenze nel mondo reale, occorre rassegnarsi al fatto che, per dirla col titolo di un libro di Karl Popper e Konrad Lorenz, “il futuro è aperto”.

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