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L’ETICA DELL’OLIMPISMO

21 SETTEMBRE 2017
– Oggi e domani a Senigallia, con l’Accademia Olimpica, discuteremo di “etica, educazione e governance” nell’ambito del movimento olimpico. Io, che farò parte del Consesso, vi anticipo che il ragionamento, perché sia utile, si dovrà fare necessariamente in termini concettualmente allargati, non elitari, non ristretti alle visioni che il gota a cinque cerchi ha della cultura e dell’intrapresa sportiva, fenomeno universale in costante evoluzione e ancora non sufficientemente considerato. In effetti, il movimento olimpico moderno ha molto da farsi perdonare, sin dalle scelte iniziali, protagonista nel bene e nel male il suo nobile padre putativo, Pierre de Coubertin. Diciamo che la sbandierata autonomia dalla politica fu subito compromessa , nel 1896, dovendo soccorrere lo Stato greco, che si era impegnato non poco, tra l’altro giubilando l’iniziatore storico dei tentativi di ripristino di quel che fu ad Olympia, il mercante Evangelis Zappas, che si era speso nel vero senso delle risorse investite, sin dal 1859. Un clamoroso atto partigiano fu quello di impedire a Carlo Airoldi di partecipare alla maratona, poi vinta da Louis Spyridon, tacciandolo di professionismo. In quella occasione, ad Atene, il CIO decise di spostare di volta in volta la sede dei Giochi, decidendo per Parigi nel 1900. Quella scelta, che avrebbe tradito e lasciato a bocca asciutta Atene sino al 1906 (Giochi ufficiosi del decennale) e al 2004 (otto anni dopo quelle del “centenario” concesse alla Coca Cola in Atlanta) faceva coincidere la seconda edizione dei Giochi Olimpici con la Esposizione Universale e con la patria del Presidente de Coubertin, innescando lo spirito imprenditoriale delle Olimpiadi, di cui ancora oggi ragioniamo in termini di delizie e di croci, d etica e di governance…
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