A Washington aveva destato sorpresa e allarme l’ipotetico avvicinamento tra le Filippine e la Repubblica Popolare Cinese. Il presidente filippino Ferdinand Marcos Jr., eletto il 30 giugno 2022, secondogenito e unico figlio maschio di Ferdinand Marcos e della ex first lady Imelda Marcos, si era recentemente recato in visita a Pechino su invito di Xi Jinping.
Sembrava che Manila e Pechino avessero nell’occasione raggiunto un accordo per porre termine alle dispute marittime e petrolifere che per lungo tempo hanno contrapposto i due Paesi. Com’è noto i cinesi rivendicano ampie porzioni del Mar Cinese Meridionale sulle quali, però, vantano diritti parecchie altre nazioni, dalle stesse Filippine al Vietnam, dall’Indonesia a Taiwan.
Finora Pechino aveva praticato una politica “muscolare”, procedendo alla costruzione e successiva fortificazione di isole artificiali, senza chiedere alcun permesso agli Stati confinanti, e giungendo talora a scontri armati con le loro Marine militari.
Tutto ciò nonostante il fatto che l’ONU e altri organismi abbiano riconosciuto il carattere internazionale delle acque occupate dalla Repubblica Popolare. La quale, peraltro, non ha mai accettato i verdetti sfavorevoli dell’ONU e di altri organismi interpellati. La frontiera marittima tra Pechino e Manila era per l’appunto una delle più calde, anche in virtù degli stretti rapporti di alleanza che da sempre le Filippine intrattengono con gli Stati Uniti e altre potenze occidentali.
L’accordo avrebbe cambiato dunque il quadro strategico in modo sostanziale. Non risulta però che siano stati firmati documenti ufficiali. Quanto è avvenuto, tuttavia, era più che sufficiente per preoccupare Washington, che sin dalla fine del secondo conflitto mondiale considera le Filippine come uno degli alleati più fedeli in questo importante scacchiere asiatico.
In realtà Marcos Jr. deve tener conto del fatto che i cinesi non sono molto popolari nell’arcipelago e che, secondo un recente sondaggio, l’84% dei filippini preferirebbe invece che il governo rafforzasse la collaborazione sulla sicurezza con gli Usa.
La successiva visita a Manila del segretario alla Difesa americano Lloyd Austin ha cambiato la situazione. Questa volta è stato firmato un accordo ufficiale che consente agli USA di utilizzare altre quattro basi militari nell’arcipelago, che si aggiungono a quelle già a disposizione delle forze armate di Washington. Viene così modificato il quadro strategico, messo in forse dalla politica di neutralità dell’ex presidente filippino Rodrigo Duterte, il cui mandato è scaduto nel 2022.
Indubbiamente si tratta di un tassello importante per la strategia anti-cinese dell’amministrazione Biden. Si aggiunge, tra l’altro, al sostanziale successo della missione in Estremo Oriente del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, con soste nella Corea del Sud e in Giappone.
E’ evidente che l’aumento delle basi militari filippine utilizzabili dagli USA costituisce un grave colpo per le mire espansionistiche di Pechino che, infatti, ha reagito furiosamente accusando come sempre l’Occidente di voler dar vita a una nuova Guerra Fredda in Asia, e sostenendo che “la pace è a rischio”.
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