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Latina, il 4 novembre apre la stagione teatrale del D’Annunzio

Il 4 Novembre alle 18.30, si apre la stagione teatrale del Teatro Gabriele D’Annunzio. Un’apertura di prestigio affidata a Copenaghen, di Michael Frayn, per la regia di Mauro Avogadro con gli straordinari Umberto Orsini, Massimo Popolizio e Giuliana Lojodice. Un testo che si addentra nel dialogo tra il fisico danese Niels Bohr e il tedesco Werner Heisenberg e che affronta i temi della scelta etica della scienza e, in generale, del peso della conoscenza. Con, sullo sfondo, il secondo conflitto mondiale, l’antisemitismo e i progetti nefasti della Germania nazista.

Il 9 Novembre, il Teatro D’Annunzio ospiterà Mediterranea, spettacolo creato da uno dei maggiori coreografi italiani, Mauro Bigonzetti, e che attraverso la musica delle culture che vi si affacciano fanno viaggiare lo spettatore nello spazio e nel tempo.

La biglietteria del Teatro, presso la quale è possibile sottoscrivere ancora gli abbonamenti per la nuova stagione (a oggi si registra un +25% rispetto alla stagione 2017/2018) e i biglietti per i singoli spettacoli, sarà aperta il 4 Novembre dalle ore 15 per chiunque voglia acquistare il biglietto di Copenaghen.

Scheda dello spettacolo:
4 Novembre ore 18.30
COPENAGHEN
Di Michael Frayn
con Umberto Orsini, Massimo Popolizio
e con Giuliana Lojodice
regia Mauro Avogadro
scene Giacomo Andrico
costumi Gabriele Meyer
luci Carlo Pediani
suono Alessandro Saviozzi
produzione Compagnia Umberto Orsini e Teatro di Roma – Teatro Nazionale
in co-produzione con CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia
Si ringrazia: Emilia Romagna Teatro Fondazione.

Io penso che sarebbe stato un errore imperdonabile pensare di dar vita ad una Compagnia teatrale che porti il mio nome senza pensare all’opportunità di rimettere in scena uno spettacolo come ‘Copenaghen’. Quando decisi di avere accanto a me un attore come Massimo Popolizio affidandogli anche la regia di ‘Il prezzo’ di Miller mi era chiaro che questa collaborazione non sarebbe stata un episodio isolato. Era evidente che insieme avremmo potuto dar vita a qualcosa che oggi è sempre più difficile trovare e cioè a quel teatro di recitazione nel quale entrambi, seppure in epoche diverse, siamo cresciuti e al quale ci ispiriamo. Ed ecco che riproporre ‘Copenaghen’, la pièce di Frayn che insieme a Giuliana Lojodice ci aveva visti interpreti per la prima volta diciotto anni fa, mi è sembrata una scelta quasi obbligata. Spettacolo nato a Udine nel 1999, riproposto con l’ERT in anni lontani a varie riprese di cui l’ultima otto anni fa, recensito dalla totalità della critica in maniera entusiastica, amato da un pubblico sempre numerosissimo, visto come un evento dei teatri delle maggiori città, sorprendente per la costante attualità del tema trattato, che si vorrebbe più di così? E allora, non so se sarà l’ultima, ancora una volta ‘Copenaghen’ con tutto l’impegno che la nostra Compagnia sa mettere nel far rinascere uno spettacolo con l’aiuto del Teatro di Roma e del CSS di Udine che hanno deciso, data l’eccezionalità dell’evento, di co-produrre lo spettacolo con noi ricostruendo una scenografia ormai perduta ricalcando la regia di Mauro Avogadro, col grande e significativo apporto di un’attrice come Giuliana Lojodice alla quale siamo grati per aver deciso di ricalcare le tavole del palcoscenico e condividere ancora una volta con noi questa avventura.

Umberto Orsini

In un luogo che ricorda un’aula di fisica, immersi in un’atmosfera quasi irreale, tre persone, due uomini e una donna, parlano di cose successe in un lontano passato, cose avvenute tanto tempo prima, quando tutti e tre erano ancora vivi. Sono Niels Bohr (Orsini), sua moglie Margarethe (Lojodice) e Werner Karl Heisenberg (Popolizio). Il loro tentativo è di chiarire che cosa avvenne nel lontano 1941 a Copenaghen quando improvvisamente il fisico tedesco Heisenberg fece visita al maestro Bohr in una Danimarca occupata dai nazisti. Entrambi coinvolti nella ricerca scientifica, ma su fronti opposti, probabilmente vicini ad un traguardo che avrebbe portato alla bomba atomica, i due scienziati ebbero una conversazione nel giardino della casa di Bohr, il soggetto di quella conversazione ancora oggi resta un mistero e per risolverlo la Storia ha avanzato svariate ipotesi. L’asse portante attorno al quale ruota lo spettacolo è dunque il motivo per cui l’allievo andò a Copenaghen a trovare il suo maestro. Essendo Heisenberg a capo del programma nucleare militare tedesco voleva, in nome della vecchia amicizia, offrire e Bohr, che era mezzo ebreo, l’appoggio politico della Gestapo in cambio di qualche segreto? O al contrario essendo mosso da scrupoli morali, anche se tormentato dalle conseguenze che sarebbero potute ricadere sul destino della sua patria martoriata e che lui amava pur non essendo nazista, tentava di rallentare il programma tedesco fornendo a Bohr, che era schierato con gli alleati, informazioni sull’applicazione dei fondamenti teorici della fissione? Su questi presupposti l’autore dà vita ad un appassionante groviglio in cui i piani temporali si sovrappongono, dando un valore universale alle questioni poste dai protagonisti. Fatto sta che le diverse ipotesi fatte all’epoca vengono qui enunciate una dopo l’altra e quindi vengono messi in scena diversi incontri tra i due fisici, con diversi andamenti. Viene quindi a tradursi metaforicamente, come struttura portante dell’impianto drammaturgico, quel Principio di Indeterminazione e di Complementarietà pronunciati molte volte nella pièce e così determinanti per l’elaborazione della teoria della relatività ad opera di Einstein. Non è possibile una sola verità oppure una sintesi efficace delle diverse verità perché una verità è semplicemente un punto di vista, il punto di vista di chi l’ha enunciata. Tutto è umano, niente è assoluto. Si possono avere solamente risposte indeterminate e quindi la somma degli scenari possibili e ciò vale anche per quell’incontro tra i due fisici. Il Novecento, così come la vita umana sono fatti di tante zone grigie, di tanto silenzio, ma finché esisterà l’uomo si cercherà sempre, in mezzo al vuoto che ci circonda e alla polvere sollevata, la traccia rarefatta di una particella di chiarezza e di verità che, comunque, ci salverà. Inutile dire che il grande valore del testo di Frayn, divenuto ormai un classico contemporaneo del teatro, non sarebbe emerso in modo così mirabile senza un trio di attori di grande spessore che sanno mettere in evidenza i diversi piani di lettura e interpretare i personaggi dando risalto alle loro infinite sfaccettature psicologiche.

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