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La grandezza culturale dello sport

Stavo giusto riflettendo, in questi giorni di tregua, da quella olimpica coreana corredata da medaglie e speranze di pace a quella della campagna elettorale piena di iperboli verbali e fisiche. Riflettendo su cosa? Mah, sulla evidente inutilità di tante iniziative apparentemente importanti, ma effimere e della consapevole e quindi per noi colpevole elusione di argomenti cardine per la nostra storia futura, la cui qualità dipende e come da quella passata. Dunque, prendo spunto dal ritrovamento a Vindolanda (antico presidio romano nella Northumbria, in Inghilterra, lungo il mitico Vallo di Adriano) di ciò che rimane di un paio di “cesti”, quelli che venivano utilizzati per l’esercizio del pugilato nel ’79 dopo Cristo, giusto quando il Vesuvio esplodeva con la sua furia piroclastica, seppellendo Pompei, Ercolano, Stabia ed Oplontis e la famiglia degli imperatori Flavi, con Vespasiano, il “divo” Tito e Domiziano governavano con fermezza, saggezza e magnificenza l’emergenza, come l’ordinarietà e la straordinarietà di governo per quella che era la più grande organizzazione statuale generata nell’area mediterranea ed estesa oltre ogni limite tra occidente ed oriente, capace di contemperare una miriade di diverse etnie e culture con tutte le loro variabili, capace di dare alla stessa tradizione dei giochi more greco una funzione ed una dignità assoluta. La costruzione dello Stadio di Atletica in Campo Marzio, voluta da Domiziano nell’anno 86, è la pietra angolare della storia dello sport in Italia e lo è anche per il mondo, in quanto primo esempio di grande struttura moderna destinata al contempo alla pratica, alla competizione ed allo spettacolo agonistico, realizzata in travertino e laterizi, come il Colosseo, ornata da gruppi marmorei di assoluta bellezza. E aggiungo, tanto splendore in parte finito nel Circo di Costantinopoli, oggi Istanbul, consentì ancora, dopo sedici secoli, la nascita della star del barocco berniniano, Piazza Navona. Ecco il punto, perché oggi da noi si traccheggia, anzi si cala nel “pozzo dei vorrei ma non posso” la istituzione di quello che potrebbe essere con enorme vantaggio il Museo Internazionale dello Sport ” , la meraviglia delle meraviglie tra arte classica e moderna, magari associato ad una non tanto ipotetica Università Internazionale degli Studi e all’Accademia Mondiale dello Sport. mentre in realtà si pensa di traferire la Biblioteca Nazionale dello Sport dal Centro “Onesti”, si stenta a dare il via ad un nuovo stadio per il calcio, al “mall” di Tor di Valle per la A.S. Roma, mentre il “Flaminio”, nella disponibilità di Roma Capitale, va in rovina sommerso da ortiche e rifiuti , ultimamente bollato anche dal rinvenimento di un cadavere, inquietante tanto quanto quello dell’ottocentesco sonetto di Cesare Pascarella – pubblicato da La Cronaca Bizantina – “Er morto de’ campagna”:

…Stava infrociato là a panza per aria,
Vicino a un fosso, accanto a ‘na grottaccia,
Impatassato drento a la mollaccia…
C’era ‘na puzza ch’appestava l’aria.
Le cornacchie e li farchi da per aria
Veniveno a beccàjese la faccia,
E der pezzo de sopra de le braccia
C’era rimasto l’osso. Che barbaria!
E ne l’arzallo pe’ portallo via,
Je trovassimo sotto un istrumento
Lungo cusí, che mo sta in Pulizia.
Poi don Ignazio disse le preghiere;
E tornassimo co’ le torcie a vento,
Pe’ la macchia, cantanno er Miserere.

 

Ruggero Alcanterini

(Direttore responsabile de L’Eco del Litorale)

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