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LA FESTA DEL PAPA’ E LA METAFORA DI GEPPETTO…

  • Credo che non ci sia favola più appropriata di quella di Pinocchio e del suo papà Geppetto per ricordare oggi, appunto giorno della “Festa del Papà”, le paradossali condizioni in cui si trovano ormai milioni di genitori separati e in particolare di padri che con amore svolgono il loro ruolo, ma spesso in condizioni di disagio assurde. Ad esempio, la “Daddy’s Pride” rivendica il diritto dei padri alla genitorialità, andando oltre il convenzionale. Diciamo che ogni storia è diversa dall’altra e quella che immaginò Carlo Collodi era davvero avveniristica e straordinaria, esemplificativa di un vissuto che oggi vede protagonisti ragazzi in carne ed ossa. Tutto quello che capitò e continua a capitare a Geppetto e Pinocchio è scritto nella cronaca di ogni giorno. Per questo, nella tristezza del momento, in cui la tragedia ucraina fa strame ed amplifica i valori insostituibili della genitorialità, per ricollocare concetti favolistici nella normalità di un vissuto, comunque complicato, inforco la mia macchina del tempo e piombo indietro di un lustro, a quel che scrissi il giorno di San Giuseppe del 2017 …

GIUSTIZIA PER GABRIELLA E LUIGI, IN NOME DI GEPPETTO, SARA ED ABRAMO – Oggi, ricordando Giuseppe, padre di Gesù, si celebra convenzionalmente la festa dei papà. Anche io sto vivendo una giornata diversa, nella veste di padre e di nonno, piuttosto che di babbo, come si dovrebbe dire appunto secondo i nostri padri latini e italiani, senza indulgere al vezzoso francesismo. Certo, sentirmi chiamare “babbo”, piuttosto che nonno, dalla mia penultima nipotina, non vi nascondo che lo trovo divertente e che mi fa venire in mente il linguaggio “collodiano”, ottocentesco, il modo con cui Pinocchio, nato dalla fantasia di Carlo Lorenzini, si riferiva appunto al padre-nonno, disperatamente solo e desideroso di genitorialità. Geppetto, falegname come Giuseppe, era arrivato a punto di crearselo un figlio, plasmando una materia inerte come il legno e di animarla, come rappresentazione fantastica e senza tempo del paradosso che affligge coloro che desiderano per tutta la vita di avere prole, anche quando teoricamente, scientificamente e convenzionalmente non se ne potrebbe o dovrebbe più avere. Ieri, ho pensato con commozione e rabbia alla coppia di Casale Monferrato, a Gabriella e Luigi, alla loro bambina, quindi alla loro famiglia comunque spezzata dai pregiudizi e dalla legge “ingiusta”, nella forma e purtroppo nella sostanza, al punto di trasformare il miracolo della raggiunta genitorialità in tragedia. Eppure, la storia biblica di Abramo e Sara, che ebbero il figlio Isacco in tardissima età (lei ormai novantacinquenne, secondo la Genesi) dovrebbe insegnare qualcosa. Ma invece, no, viva il pettegolezzo, prevalga la burocrazia, si faccia pure strame di quel prodigio, di quella bambina che sette anni fa aveva trasformato una coppia attempata, ma non stanca, finalmente in una famiglia. Penso che, per tagliare la testa al toro, oltre che sui papà e sulle mamme, dovremmo concentrarci sulla famiglia e in nome di questa fare una vera grande festa, amplificando quella che da oltre venti anni si celebra nel milanese a gennaio, nella considerazione che essa è la vera pietra angolare di un concetto di comunità e fondamentale per la complessa costruzione della collettività, sino alla dimensione di società civile, di stato. E’ venuto il tempo di tornare a pensare seriamente alla famiglia, come ad un valore essenziale, unico, inestimabile, insostituibile.

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