fbpx

La crisi dell’Università italiana

La crisi dell’Università italiana. Considerato il momento drammatico e al contempo caotico che il nostro Paese sta attraversando, non stupisce più di tanto che la crisi del suo sistema universitario desti poco interesse nell’opinione pubblica. E’ soltanto uno dei tanti problemi da affrontare e, se si escludono gli addetti ai lavori come gli stessi docenti universitari, sono pochi coloro che pongono le sorti dell’istruzione superiore al centro dell’agenda politica. Me ne accorsi anche in quanto Preside di una delle neonate “Scuole”, entità ancora non ben strutturate e nelle quali sono state accorpate le ex Facoltà che la riforma dell’ex ministro Gelmini ha abolito.

Eppure altre nazioni in cui l’università ha problemi almeno parzialmente analoghi stanno cercando di trovare soluzioni. All’estero è più forte la consapevolezza che il futuro di un Paese dipende in gran parte dal poter disporre di giovani adeguatamente istruiti e in sintonia con il mercato del lavoro.

Non è detto che la laurea debba essere per forza l’unico strumento utilizzabile per trovare occupazione. In Italia si tende a snobbare molti mestieri che non richiedono affatto una preparazione a livello accademico. Mestieri che spesso vengono lasciati agli immigrati stranieri perché ritenuti dai giovani italiani poco “dignitosi”. E non parlo solo di lavori umili nel senso tradizionale del termine, ma pure di antiche professionalità artigiane che stanno scomparendo anche se molto ricercate.

Nessun dubbio che il nostro sistema universitario sia stato gestito male nel corso degli ultimi decenni, punendo in tanti casi i meritevoli e premiando gli incapaci. Non è solo colpa dei “baroni”, come tutti credono, giacché i sindacati hanno giocato un grande ruolo nel processo di deterioramento. Per tacere dei politici che hanno in molti casi sfruttato gli atenei per fini personali.

Né vale invocare una maggiore autonomia. Tale invocazione ha un senso soltanto se si sottolinea con forza l’aggettivo “responsabile”, poiché è un dato di fatto che il mondo universitario non ha in genere utilizzato l’autonomia in modo virtuoso. Quasi sempre, in Italia, l’autonomia viene scambiata per licenza di fare “gli affari propri”.

Quali le conseguenze? Sgombriamo subito il terreno da possibili equivoci. In Italia si parla molto di “diritto allo studio”, dando a tale espressione un significato assai vasto come se tutti, dalle scuole materne sino alle aule universitarie, possedessero tale diritto “a prescindere”. In realtà la Costituzione dice che “i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. In altre parole si riconosce che i giovani provenienti da famiglie di modeste condizioni economiche possiedono il tanto conclamato “diritto allo studio”. Ma a un patto: che siano appunto capaci e meritevoli. E tale diritto si garantisce soltanto con un finanziamento sotto forma di borsa di studio, e con la possibilità di trovare alloggio a condizioni favorevoli in residenze universitarie.

Seguiteci sulla nostra pagina Facebook e su Ecopalletsnet

Gestione cookie