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Il paradosso tedesco

A volte i paradossi sono più utili degli argomenti di senso comune per comprendere la realtà circostante. Vengono infatti spesso usati nella scienza e in filosofia, poiché nel paradosso il ragionamento può esprimersi con una certa libertà infischiandosene di limiti, regole e paletti. Aiutano, inoltre, a trascurare il vero corso degli avvenimenti proiettando la mente in una dimensione che è tutta sua, libera da costrizioni esterne.

Provo allora a discorrere in termini paradossali dell’attuale stato dell’Unione Europea. Supponiamo che in tempi brevi i Paesi mediterranei e poco virtuosi della UE riconoscano finalmente la superiorità non solo economica, ma anche politica, culturale e istituzionale della Germania. Una grande bandiera bianca innalzata dai Paesi europei del Sud. Una resa completa e senza condizioni, di quelle che ai tedeschi sono sempre piaciute tanto nel corso della loro storia.

In questa rinnovata Canossa le nazioni “sudiste” si genuflettono di fronte al colosso teutonico e ammettono una volta per tutte che, da sole, contano niente. Pazienza se la Francia – che è un ibrido Nord-Sud – storce il naso colpita nel suo celebre senso di grandeur. Non solo bandiera bianca, ma pure carta bianca a politici, banchieri e magistrati di Berlino. A loro, in toto, il compito di dire cosa dobbiamo fare per rimetterci in riga. La Germania, che già ora è circondata da un anello di Stati satellite, diventa la padrona dell’Unione. Il governo comunitario resta nominalmente a Bruxelles, mentre Roma, Madrid e il resto conservano – sempre nominalmente – il ruolo di capitali.

Sono tuttavia capitali da operetta, giacché le decisioni vere si prendono a Berlino. Tedeschi finalmente soddisfatti e non più costreti a defatiganti trattative notturne con governanti stranieri che osano minacciare veti pur essendo indebitati fino al collo. Le regole tedesche vengono applicate con rigore ed efficienza nella larga fetta d’Europa commissariata, il che induce la Germania a restituire un po’ di fiato all’Unione agonizzante. E finalmente anche i “mercati” cominciano a comprendere. Il famoso spread assume un aspetto meno minaccioso, le borse del Sud riacquistano la speranza ormai quasi perduta, e si torna a parlare della UE come soggetto politico-economico che ha un futuro.

La bandiera azzurro-stellata resta sui pennoni degli edifici, e i vari vessilli nazionali pure. Quella che sul serio garrisce al vento è però la bandiera tedesca, e il vero simbolo unificante è l’aquila che campeggia nel Deutscher Bundestag, solo un po’ meno nera dell’omologa già presente nel vecchio Reichstag sul quale nell’aprile del 1945 i sovietici issarono la bandiera rossa.

Si è molto parlato, in questi ultimi tempi, di “Quarto Reich”. E’ chiaro che esso è – per ora – un mero parto della fantasia. Se davvero sorgesse, tuttavia, avrebbe caratteristiche assai insidiose. Dietro una facciata democratica ritroveremmo – anche per colpa nostra, lo si ammetta – il sogno tedesco di dominio europeo. E’ un sogno mai tramontato, pur dopo due tremende sconfitte che hanno messo in pericolo l’esistenza stessa di un’entità nazionale germanica.

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