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Filosofia: La realtà e il gioco del Lego

La realtà e il gioco del Lego. E’ un dato di fatto che il nostro rapporto con la realtà è sempre mediato dall’attività psichica e linguistica. Anche quando pensiamo a una realtà indipendente dalla dimensione del mentale, il pensiero svolge la funzione di farci immaginare tale realtà autonoma, e il linguaggio è a sua volta indispensabile quando vogliamo parlarne per comunicare con gli altri. Ne consegue che non siamo in grado di elaborare dei concetti intorno a qualsiasi cosa senza usare qualche tipo di schema. Dunque, pensiero e linguaggio sono indispensabili all’ontologia: per quanto riguarda gli esseri umani, il reale è inscindibile dal piano mentale e da quello linguistico. In altre parole il nostro accesso alla realtà ha sempre un carattere di mediatezza, e ciò significa che il binomio pensiero-realtà rappresenta l’inevitabile punto di partenza per tutti coloro che intendano appurare qual è la struttura del reale. Seguendo fino in fondo questo sentiero si può concludere che tra ontologia da un lato ed epistemologia (intesa come teoria della conoscenza) dall’altro non si può mai stabilire una linea di confine netta. Per l’uomo la realtà è sempre una realtà pensata e conosciuta o, il che è in fondo lo stesso, una realtà di cui si può parlare.

Ecco perché lo iato tra ciò che vi è e ciò che noi pensiamo o crediamo vi sia resta difficilmente superabile. Anche ammettendo una realtà indipendente da qualsiasi schema concettuale, la sua esistenza è pur sempre postulata dal punto di vista di colui che la pensa e ne parla. Sembra allora destinato a non scomparire il classico problema dei rapporti tra la realtà in quanto tale e la realtà-per-noi. E quest’ultima è pur sempre l’unico tipo di realtà cui abbiamo accesso diretto. Il problema principale, se continuiamo a seguire questa linea di ragionamento, è come conciliare le due realtà appena menzionate. In altri termini, l’accordo presuppone la disponibilità di entrambi i tipi.

Pensiamo, per esempio, a cosa succede quando costruiamo un puzzle. Supponendo che i nostri concetti siano i pezzi del puzzle, ciò che possiamo fare è metterli assieme individuando i tasselli che di volta in volta sono necessari alla riproduzione adeguata del modello che abbiamo di fronte agli occhi. Ma – lo si noti – nel caso del gioco il modello o obiettivo finale da raggiungere è effettivamente disponibile in quanto riprodotto sulla scatola che contiene i pezzi: è relativamente facile completare il gioco tenendolo presente. E, in caso di errore, è altrettanto facile rimediare andando a guardare l’originale. Nulla di simile è possibile nel nostro gioco ontologico, dal momento che l’originale, la realtà indipendente da ogni schema, non la conosciamo perfettamente. Tutto ciò che possiamo fare è sperare nella buona sorte, augurandoci che i pezzi via via trovati siano proprio quelli che ci servono per giungere a conseguire il risultato. Non possiamo insomma raffigurare la realtà prescindendo da qualsiasi raffigurazione, e ciò significa che non siamo in grado di concettualizzare la realtà prima, e di misurare poi, i concetti sul metro della realtà stessa.

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