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Festa del papà? La festa dell’ipocrisia

La Festa del papà è una ricorrenza civile diffusa in tutto il mondo. La data in generale varia da Paese a Paese. Nei Paesi che seguono la tradizione statunitense, la festa si tiene la terza domenica di giugno. In molti Paesi di tradizione cattolica, la festa del papà viene festeggiata il giorno di san Giuseppe, padre putativo di Gesù, il 19 marzo. La prima volta documentata in cui fu festeggiata sembrerebbe essere il 5 luglio 1908 a Fairmont in Virginia Occidentale, presso la chiesa metodista locale. Fu la signora Sonora Smart Dodd la prima persona a sollecitare l’ufficializzazione della festa; senza essere a conoscenza dei festeggiamenti di Fairmont, ispirata dal sermone ascoltato in chiesa durante la festa della mamma del 1909, ella organizzò la festa una prima volta il 19 giugno del 1910 a Spokane (Washington). La festa fu organizzata proprio nel mese di giugno perché in tale mese cadeva il compleanno del padre della signora Dodd, veterano della guerra di secessione americana. E’ una festa che nasce nei primi decenni del XX secolo, complementare alla festa della mamma per festeggiare la paternità e i padri in generale.

Ma è proprio il caso di festeggiare ? La domanda non è banale, perchè per la maggior parte dei papà tale festa è solo una beffa. E i primi a sostenerlo sono i milioni di papà separati o divorziati che si trovano in una situazione di indifferenza totale. Difficoltà economiche ma non solo.

A dare l’allarme è l’Europa. Recentemente la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo si è pronunciata condannando l’Italia in quanto “non assicura i diritti dei padri separati”. Si nota come il riferimento primario sia la disparità di trattamento per quanto riguarda l’affidamento dei figli e la possibilità dei padri di passare del tempo con loro, ma non solo, perché c’è anche un rimando all’aspetto economico, troppo spesso sottovalutato.

I recenti dati Istat del 2014 riguardanti le “Separazioni e i Divorzi in Italia” condannano i papà. Nonostante in Italia è in vigore la Legge 54/2006 che sancisce l’affidamento condiviso dei figli minori tra i due coniugi ed il sostentamento economico dei figli in misura proporzionale al reddito, i recenti dati Istat pubblicati il 23 giugno 2014 riguardanti le “Separazioni e i Divorzi in Italia” raccontano un’altra verità che condanna la categoria maschile:

1) La quota di affidamenti concessi al padre continua a rimanere su livelli molto bassi. Le separazioni con i figli in affido condiviso sono state l’89% contro l’8,8% di quelle con i figli affidati esclusivamente alla madre;

2) Nella quasi totalità dei casi (94%) è il padre a versare gli assegni di mantenimento. Gli assegni di mantenimento per i figli vengono corrisposti nel 47,3% delle separazioni e nel 64,6% di quelle con figli;

3) Il 20,3% delle separazioni si è concluso prevedendo un assegno per il coniuge di un importo medio mensile pari a 496,6 euro (nel 98,4% dei casi l’assegno viene corrisposto dal marito). Nel 35,5% delle separazioni l’unico assegno ad essere corrisposto è proprio quello per i figli, per un totale di 31.315 separazioni, il 48,4% delle separazioni con figli.

4) Nel 58,2% delle separazioni la casa è stata assegnata alla moglie. Le quote di assegnazioni al marito sono invece solo del 20,4% e quelle che prevedono due abitazioni autonome e distinte ma diverse da quella coniugale sono del 18,4%.

Inoltre, la Corte Suprema ha stabilito che anche il figlio che abbia raggiunto la maggiore età e che sia laureato ha diritto ad ottenere l’assegno di mantenimento finché non trovi un’occupazione adeguata alla sua condizione sociale, ma solo a patto che si attivi per trovare lavoro nei “limiti temporali in cui le aspirazioni abbiano una ragionevole possibilità di essere realizzate“. Il mantenimento all’infinito è una pura ingiustizia sociale. Stessa cosa, se vogliamo, accade per l’abitazione.

Un’inchiesta di qualche anno fa ha rivelato un dato paradossale: il 19 % dei padri separati versa un mantenimento per i figli non più minorenni, il 6 % addirittura versa un mantenimento a figli di età superiore ai 30 anni ! Dai dati si evince che in caso di divorzio “la casa segue i figli”, e questo vuol dire che la casa di proprietà condivisa va alla madre, con il padre sfrattato da un giorno all’altro. E’ per questo che si sentono storie di padri che vivono in auto o in motel di infima categoria per riuscire a rientrare nelle spese con il solo stipendio perché, se è vero che se la madre non vanta alcun titolo di proprietà sull’immobile il giudice non potrà espropriare il bene per darlo all’altro coniuge, è anche vero che anche in queste situazioni l’ex moglie è sempre più tutelata dell’ex marito. Il divorzio si trasforma così in un affare per le donne e in una condanna a vita per l’uomo. In Italia è questo il caso dei padri separati che, quando si parla di divorzio e problemi relativi alla separazione, vengono messi in secondo piano rispetto alle mogli. Questo perché la donna, soprattutto se madre, viene trattata dalla legge come “parte debole” da tutelare, ma cosa succede se queste tutele si trasformano per il marito in una condanna alla povertà? “Finché morte non vi separi” è una formula che nasconde la triste condizione di padri che, finito l’idillio, si ritrovano in una condizione d’inferno, senza più un soldo, magari senza casa e privati della possibilità di vedere i propri figli. Sono questi i nuovi poveri di un’Italia sempre più nella morsa della crisi economica, nascosti allo sguardo finché non accade qualche tragedia da prima pagina dei giornali.

Allarmanti i dati del Rapporto 2014 della Caritas italiana sulla povertà intitolato “False partenze”. Dopo la rottura dei rapporti coniugali, il 66% di chi chiede aiuto dichiara di non riuscire a provvedere all’acquisto dei beni di prima necessità. Prima della separazione erano solo il 23,7 per cento.

Molte sono le conseguenze della separazione. Aumenta il ricorso ai servizi socio-assistenziali del territorio come anche la crescita di disturbi psicosomatici. Il 66,7% accusa un più alto numero di sintomi rispetto alla pre-separazione. Inoltre, la separazione incide negativamente nel rapporto padri-figli. Il 68% dei padri rispetto al 46,3% delle donne riconosce un cambiamento importante a seguito della separazione; tra i padri che riconoscono un cambiamento il 58,2% denuncia un peggioramento nella qualità dei rapporti, le madri, al contrario, riconoscono per lo più un miglioramento. Gli elementi che rendono particolarmente insoddisfatti i padri nel rapporto con i figli sono: la frequenza di incontro, gli spazi di vita e i luoghi di incontro, il tempo da dedicare alla relazione, la possibilità di partecipare a momenti importanti quali compleanni, ricorrenze, feste.

Sono quasi tutte di nazionalità italiana le richieste di aiuto. Tra i separati/divorziati che si sono rivolti ai centri di ascolto della Caritas la gran parte è di nazionalità italiana (85,3%). Il 42,9% è coinvolto in separazioni legali, il 28,1% in separazioni di fatto e il 22,8% in procedimenti di divorzio. Dei procedimenti di divorzio quasi la totalità risulta ormai anche conclusa. Considerando i tempi di separazione, il 34% vive uno di questi stati da meno di un anno, il 20% da meno di due anni, il 20,2% da un tempo che va dai due ai cinque anni, il 25,8% da oltre 5 anni.

Due terzi ha figli minorenni da mantenere. Rispetto al totale degli intervistati, i due terzi (66,5%) ha figli minorenni; su questi ovviamente grava un peso materiale e sociale più pesante, sia in termini di cura che di mantenimento. Per quanto riguarda l’età si tratta in particolare di persone nella fascia d’età centrale (45-54 anni) e di giovani adulti (35-44 anni). Per quanto riguarda il livello di istruzione, prevale la licenza media inferiore (34,9%) seguita dal diploma di scuola media superiore (28,6%), dalla licenza elementare (14,5%) e dall’attestato professionale (10%). Le motivazioni che hanno spinto gli utenti a chiedere aiuto sono legate a bisogni di tipo materiale e immateriale: le difficoltà economiche (21,7%), il disagio abitativo (15%), l’impossibilità di accedere ai beni di prima necessità (cibo e vestiario) (12,1%); il bisogno di ascolto (13,1%) e l’assistenza psicologica (12,3%).

Altre le percentuali di disoccupazione post separazione. Gli occupati rappresentano meno di un terzo dei separati e divorziati intervistati mentre coloro che sono in cerca di un’occupazione (disoccupati e inoccupati) sono quasi la metà ( 46,1%). La grave situazione sul fronte dell’occupazione è l’elemento che maggiormente condiziona il post separazione. I livelli di disoccupazione, infatti, risultano alti sia per i maschi (45,1%) che per le femmine (41,4%).

Criticità anche sul piano della sistemazione abitativa. Anche la dimensione abitativa evidenzia delle situazioni di gravi criticità vissute sia sul piano della sistemazione che su quello del grado di affaticamento rispetto agli oneri di spesa fissi (mutuo, affitto, pagamento delle utenze di luce, gas). Prima della separazione il 43,7% viveva in abitazioni di proprietà e il 42% in affitto. Dopo la separazione la situazione si altera e sono per lo più gli uomini a cambiare abitazione (87,7% degli uomini contro il 53,1% delle donne).

Troppo spesso poi i papà sono vittime di false accuse. E così tanti uomini si trovano lontano da casa e dai loro figli con accuse infamanti di presunti maltrattamenti in famiglia creati ad hoc da ex moglie per il solo scopo di impedire la frequentazione con i propri figli o avere vataggi personali. E così molti diritti legittimi di genitori vengono incredibilmente calpestati e ignorati da tribunali, magistrati, operatori sociali e politici.

Che senso ha parlare di Festa del papà quando il ruolo paterno viene subordinato a loschi interessi? Parlare della paternità è un controsenso quando le istituzioni con ipocrisia negano quasi sempre questo diritto. E’ necessario ridare dignità alla paternità. La dignità si ottiene combattendo le lobby di potere operando in modo trasparente nei tribunali e in tutti i luoghi dove dovrebbero esser tutelati i minori e le pari opportunità genitoriali. Sono necessari interventi urgenti per snellire molte procedure che di fatto sono funzionali solo a chi specula sulle separazioni e sulle conflittualità di coppia alimentando un vero e proprio business che avvolge, soffoca e uccide il genitore più debole e con lui tutta la parentela. Il gioco al massacro così si allarga e colpisce anche i nonni, si spezzano cosi tutti i legami famigliari e chi ne paga le conseguenze più gravi è il minore. Situazioni assurde, per certi versi inverosimili. E’ tempo di dire basta a tutto questo e porre la parola fine a queste incresciose situazioni. Quando il problema verrà risolto e il male sarà sconfitto si potrà festeggiare la vera Festa del papà.

Massimiliano Gobbi

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