Ecco fatto, dopo il discorso in notturna di Kamala Harris e Joe Biden abbiamo la soluzione del problema, la risposta all’angosciosa domanda se è meglio vivere, piuttosto che morire tra spire virali e ringhiosi appelli di parte. Eravamo passati in poche ore dal siamo romani, trasteverini, felici senza quattrini, della formula “proiettiana”, al siamo americani imbufaliti coi quattrini, della filosofia “trumpiana” e adesso, come d’incanto, il clima si è rasserenato per via di un sussulto di coscienza, di responsabilità, di chi sta dimostrando di saper vincere. Saper perdere ahimè non è meno importante e Donald fatica dannatamente a digerire il secondo posto suffragato da decine di milioni di voti, comunque meno di quelli ottenuti da chi lo ha battuto. Poi, se vogliamo dirla tutta, questa è davvero l’occasione per affermare che il fair play di shakespeariana memoria dovrebbe essere la prima risorsa di cui approvvigionarsi, peraltro a costo zero. Ma non è così facile. Diciamo che nonostante le diverse agenzie educative in concorso o latitanti, quel che soccorre ognuno di noi è il carattere, quel complesso di cose che alla fine ci fa diversi, migliori, ma anche peggiori. Sembra che la massima “vinca il migliore” abbia funzionato e che dalla svolta americana possa ripartire la speranza per battere razionalmente la pandemia da COVID e riprendere per la coda la lotta comune contro la distruzione della casa comune, di Gaia. Per concludere, un pensiero “lombrosiano”: provate a farvi una idea dei due “ragazzi”, ora alla prova di comando del Paese più potente del mondo, osservandoli per quello che erano e valutandoli per quello che adesso sono, come noi navigatori nel tempo e nello spazio.