Nonostante le tendenze autoritarie di Recep Tayip Erdogan, la Turchia è tuttora un Paese in cui la scelta del premier è decisa con elezioni libere e democratiche. Le prossime si terranno il 18 giugno 2023 e, ovviamente, il Sultano è sicuro di vincerle.
La formazione politica di Erdogan “AKP”, “Partito della Giustizia e dello Sviluppo”, di matrice islamica, con 316 membri, detiene il controllo del Parlamento di Ankara. Anche se, com’è noto, l’AKP è molto forte nelle campagne e nelle aree meno sviluppate, mentre gli oppositori laici, kemalisti e curdi, dominano nelle maggiori città come Istanbul, Ankara e Izmir (l’antica Smirne).
Due sono i fattori da tenere in considerazione per capire se Erdogan sarà davvero in grado di farsi rieleggere l’anno prossimo. Il primo è il nazionalismo sul quale egli ha puntato moltissimo in questi anni, e che viene visto con favore da vasti strati della popolazione.
Inseguendo il suo sogno neo-ottomano, l’attuale leader ha saputo abilmente ritagliarsi uno spazio di mediazione in ambito internazionale. Per esempio nel conflitto tra Federazione Russa e Ucraina, nel Caucaso appoggiando gli azeri contro gli armeni, in Libia e in altre nazioni africane come la Somalia. Agendo tanto sul piano diplomatico quanto su quello militare, la Turchia è dinamicamente presente in tutte le aree di crisi, incluso il Mediterraneo dove la tensione con la Grecia resta altissima.
Questo grande attivismo, tuttavia, ha costi enormi, e molti cittadini turchi si chiedono fino a che punto sia sostenibile. Il problema, infatti, è che l’economia del Paese versa in condizioni disastrose. L’inflazione galoppa ed è ormai giunta quasi all’84% su base annua. La disoccupazione supera il 10% e la lira turca è ai minimi storici rispetto a dollaro e euro.
Uno scenario da default imminente, insomma, che alimenta le proteste e il malcontento della popolazione. Si dà però il caso che il Sultano, piuttosto che cercare di migliorare le prospettive dell’economia nazionale, preferisca ancora una volta puntare le sue carte sulla politica estera nella quale, gli va riconosciuto, ha riscosso parecchi successi.
Ora sta lavorando per il riconoscimento internazionale di Cipro Nord, ufficialmente “Repubblica Turca di Cipro del Nord”, vale a dire il mini-Stato collocato nella parte settentrionale dell’isola cipriota, e che attualmente è riconosciuta soltanto da Ankara. Scontata la contrarietà della Repubblica di Cipro, che è membro dell’Unione Europea e si estende su circa due terzi dell’isola.
Erdogan, con una delle sue solite mosse da abile giocatore di poker, è riuscito a far invitare ufficialmente Cipro Nord al summit dei Paesi turcofoni, in programma in Uzbekistan Ha solo un ruolo di “osservatore”, ma lo scopo è evidentemente quello di “sdoganare” Cipro Nord avviandola verso un futuro di Stato indipendente (per quanto satellite di Ankara, com’è già ora).
Netta e scontata la contrarietà di Bruxelles, che punta invece alla riunificazione delle due parti di Cipro entro la Ue. Positiva, com’era lecito attendersi, la reazione dei nazionalisti turchi e di importanti nazioni turcofone quali l’Azerbaigian.
Resta però l’incognita della grave situazione economica turca. Ai fini della rielezione di Erdogan l’anno prossimo peserà di più l’orgoglio nazionalista, che nel Paese è sempre stato forte? Oppure conterà maggiormente la preoccupazione per una situazione economica assai precaria? In attesa di sondaggi plausibili, è chiaro che il Sultano non può affatto dormire sonni tranquilli.
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