E sì, cari ragazzi, mentre noi del Comitato Nazionale Italiano Fair Play eravamo intenti a socializzare e festeggiare in nome dell’etica e dei valori storici dello sport, tra campioni olimpici ed iridati, personaggi delle istituzioni e del Palazzo, fior di rappresentanti dell’associazionismo, della cultura, dello spettacolo, della scienza, della ricerca e della comunicazione, altri erano intenti alle manovre relative alla rotta da percorrere, navigando a vista, come capita da settantuno anni a questa parte alla navicella dello sport italiano, cioè da quando la Costituzione Italiana lo ha escluso per un eccesso di zelo epurativo, provocando danni spaventosi alla collettività, solo in parte compensati dagli sforzi degli illuminati, che con sacrifici inenarrabili hanno supplito ai tragici vuoti , alle orribili smagliature create nel sociale, privando i cittadini del diritto certo all’educazione e alla pratica sportiva , relegando la materia ad argomento di seconda classe e delegandolo agli stessi fruitori volontari. Come dire, arrangiatevi!
Paradossalmente, lasciando in piedi il modello inventato da Ferretti nel 1927, per non compromettere totalmente il movimento sportivo con il regime fascista, ignorando lo sport in Costituzione, si prorogava il compromesso, mettendo il problema sotto il tappeto, affidandolo a Giulio Onesti e a quel manipolo di uomini straordinari guidati da Bruno Zauli che, nonostante tutto, riuscirono a fare miracoli, sino al capolavoro dei XVII Giochi di Roma nel 1960 e poi dei Giochi della Gioventù, in soccorso della rinascita e dello sviluppo del Paese dopo la Guerra e per dare a tutti i giovani l’opportunità territoriale di un approccio motorio, agonistico. Già nel 1963, finita l’adrenalina olimpica, il CONI e le Federazioni annaspavano alla ricerca di alleanze per recuperare spazi e soprattutto risorse, in un contesto che però cominciava a prendere consapevolezza del buco di sistema esistente, quello sulla materia sportiva, che continuava a latitare nell’ambito del Governo centrale. Così, mentre i socialisti preparavano progetti di riforma , dall’altra parte si chiedeva la modifica delle percentuali sui proventi del Totocalcio. Tutta la storia tra il 1965, anno dell’approvazione per la Legge Fifty-fifty proposta da Giacomo Brodolini, ma anche del Piano “Pieraccini” di Programmazione Economica e il 1988, è stata contraddistinta da un sistematico braccio di ferro tra i riformatori respinti dal mondo dello sport e dalla stampa sportiva, piuttosto che da legislature abortite prematuramente con in pancia disegni legge, che il CONI vedeva come il fumo agli occhi. Vogliamo parlare della Conferenza Nazionale dello Sport voluta da Signorello , piuttosto che del disegno di legge proposto con forza da Lagorio o del Congresso Olimpico fatto contro Carraro, allora Ministro, con le bibliche sparate di Cannavò sulla Gazzetta, negli anni ottanta, riprendendo l’antico slogan “Lo sport agli sportivi”, coniato sempre dalla “rosea” negli anni quaranta contro lo stesso Onesti candidato presidente in odore socialista. Purtroppo, la politica dell’elusione e del rinvio di un problema reale come quello dell’attività motoria e sportiva a prescindere dall’agonismo, per una società che ambisce a definirsi civile e punta ad una migliore qualità socio-sanitaria della vita, può portare a situazioni anche imbarazzanti ed incongrue, proprio come quella che si sta creando in questi giorni, con la presentazione di una legge di bilancio che di fatto determinerebbe un cambiamento traumatico dell’organizzazione sportiva in Italia, senza cambiare formalmente la vecchia Legge del 1927/1942 rivista e aggiustata da Veltroni e Melandri sul finire degli anni novanta.
Francamente, qualcosa delle conclusioni e delle proposte emerse dalla Conferenza sugli Stati Generali dello Sport svoltasi sempre nel Salone d’Onore giusto un anno fa, si sarebbe dovuta considerare e poi soprattutto valutare realisticamente quanto contenuto nel contratto del Governo in essere e delle dichiarazioni d’intenti del Sottosegretario con delega allo sport, Giorgetti, piuttosto che del Ministro all’Istruzione, Bussetti, seriamente intenzionato a spingere l’attività e i laureati in scienze motorie, affinché lo storico vulnus esistente nelle “primarie” e magari nelle università sia superato. E adesso? Adesso suggerirei di contare sino a tre, di ragionare seriamente su quel che occorre fare, senza fibrillazioni. In definitiva, è notizia di oggi, che il professionismo sportivo per antonomasia, quello del calcio stellare, ha fatto una parodia del fair play finanziario e che dobbiamo farci una ragione dell’idea che la fede è una cosa e la realtà dei comportamenti è poi magari un’altra. Per capire meglio come vanno le cose in paesi dove i concetti li hanno chiari da un pezzo, invito a valutare realtà dove con vantaggio il tasso di pratica dello sport è inversamente proporzionale al palmares olimpico e iridato. In realtà, dovremmo badare a quelle priorità che sono ovvie e che non possono essere messe in discussione, salvo decidere sul metodo e sugli addetti ai lavori. Infine, non è detta l’ultima parola, perché gira che ti rigira, poi lo sport tocca sempre agli sportivi, quelli che da sempre tengono in piedi la baracca, mettendoci il loro tempo, i loro soldi, l’anima e senza nulla pretendere, com’è capitato e come continua capitare grazie a centinaia di migliaia di “benemeriti”, ai quali in genere non arriva nemmeno un grazie, quel grazie simbolico che tre giorni fa abbiamo cercato di far partire con il primo FAIR PLAY DAY e con il messaggio metaforico “PUT THE BALL AND…RUN!”.
Ruggero Alcanterini
Direttore responsabile de L’Eco del Litorale