Ogni riferimento alla convention, che ieri ha visto protagonista Luigi Di Maio, in quel che fu il Tempio dell’Imperatore Adriano, “ è puramente casuale “.
In quel luogo che è sacro alla memoria di un grande della storia universale continuano quotidianamente a svolgersi riti di ordinaria amministrazione, e pure di straordinaria. Ecco, quel che deve essere percepito e capito è che ieri, in quel Tempio che fu vezzo austero, come prezioso capriccio fu Villa Adriana, sulle pendici della superba Tibur, si è verificato puntualmente un evento che nel brevissimo termine è chiaro sintomo, annuncio di un buco nero con epicentro tra la quinta e la quarta stella del sistema e nel medio periodo una probabile implosione politico-partitica nell’italica imponderabile galassia, generata dall’esplosione cosmica di quasi trent’anni fa.
E sì, perché se il primo partito del Bel Paese, almeno stando ai dati dell’ultima consultazione, meno di due anni fa, entra in palese fibrillazione e perdita di orientamento, se il suo Capo Politico, getta la spugna a conclusione di una orazione, questa sì in carattere con il luogo del pronunciamento, e lo fa da Ministro degli Affari Esteri in un momento davvero sensibile per le questioni internazionali, come per quelle interne, se Luigi Di Maio arriva a parlare di nemici interni e congiurati, di ferite da pugnale, di necessaria rifondazione del Movimento, se avvista il bivio tra il vivere e il morire, se ritiene l’abdicazione una soluzione alla vigilia di una verifica implicita degli equilibri interni alla maggioranza di Governo, in base agli esiti elettorali di Calabria e di Emilia Romagna, vuol dire che il progetto frutto del genio di Gianroberto Casaleggio è giunto alla fase critica, classica delle opere incompiute, tal quale capitò per la Sagrada Famiglia in Barcellona per l’improvvisa scomparsa del suo misterico creatore, Antoni Gaudì.
E allora? Beh, potrebbe impazzire la maionese parlamentare con trasferimenti e insorgenza di correnti, di assestamenti estesi, prima e durante gli annunciati stati generali e rifondazione dei due partiti al Governo, salvo l’inossidabile figura del Premier, che partito non ha e non intende averne. La prospettiva del procrastinare la vita del Governo in carica è dichiaratamente legata alla vitale necessità di concludere la legislatura in funzione di un recupero di stabilità da parte delle formazioni giallorosse, che pensano nel frattempo di superare la loro crisi identitaria. In realtà, confidare in apporti movimentisti, in trasfusioni di energie nuove e diverse più simili al mercurio che al ferro, può rappresentare un rischio ulteriore: forse è venuto il tempo, come ultima preziosa opportunità del nostro sofferto ma nobile divenire, di ricorre alle fonti della possibile rinascenza, secondo i principi che rifecero l’Italia con la nuova Costituzione il 22 dicembre del 1947. Allora si uscì dalla diaspora ereditata dal Fascismo e dalla Guerra, adesso dovremmo liberarci dal degrado profondo, oggettivo, in cui è piombata la Repubblica, nella sua ultima fase. Insomma, dopo essere tornati ieri a vedere le stelle, oggi l’imperativo assoluto, vitale è quello di rifondare il Paese !