“Voglio dire grazie a Giuseppe Medici di Casalgrande (RE) che aiutò mio padre a sopravvivere nel lager di Zeithain”. A lanciare l’appello Elisa Bonacini presidente dell’associazione “Un ricordo per la pace” e figlia di Ernesto Bonacini internato militare durante la seconda guerra mondiale nel Reserve Lazzaret dello Stammlager IV B di Zeithain in Germania. Una richiesta specifica di collaborazione dei media nella ricerca del soldato emiliano e/o dei suoi familiari dopo che le ricerche personali non hanno dato alcun esito.
È il “diario di guerra e prigionia” di Ernesto Bonacini, nato a Reggio Emilia nel 1923, dopo la figura del medico eroe Ermete Fontanili nel campo ospedaliero di Agrinion in Grecia, a svelare questa volta una storia di commovente solidarietà e amicizia tra prigionieri. Lo scenario è differente, siamo nel 1944, sono trascorsi 5 mesi dalla cattura dei tedeschi e dalla deportazione nel lager in Germania, nonostante fosse sofferente di una grave forma di malaria. Sono le pagine dei giorni di lotta con la morte, le parti più dolorose del diario che Ernesto ha nascosto per tutta la vita anche ai figli. Righe scritte con inchiostro sbavato e calligrafia incerta, sempre più spigolosa, quasi illeggibile con il passare dei giorni e l’acuirsi delle crisi malariche, della fame e dei soprusi dei nazisti. Sorretto Ernesto dal solo pensiero di potersi ricongiungere ai propri cari, al fratello Dante che non sapeva già disperso in Russia.
“Tra quelle righe che a fatica solo recentemente sono riuscita a decifrare- commenta Elisa- ecco emergere una storia con dialoghi che sembrano tratti dal libro “Cuore” ed invece non è un romanzo, è tutto reale. Lui, eroe protagonista, è un soldato del territorio reggiano, Giuseppe Medici di Casalgrande. Il suo indirizzo è riportato in bella calligrafia in un foglietto tra le pagine del diario, tra i nominativi degli amici degni di nota, da ricordare”
E non c’è bisogno di parole. Basta leggere quanto riporta Ernesto, febbricitante, tra lacrime di umiliazione e sofferenza. Casualmente è il 18 febbraio 1944. Ad Aprilia i più aspri combattimenti tra truppe britanniche e i tedeschi presso il fosso della Moletta, nei quali perse la vita il giovane Eric Fletcher Waters, padre del musicista Roger Waters. E invece Ernesto e oltre 616.000 suoi compagni di sventura, gli Internati Militari Italiani, combattono per la sopravvivenza nei lager per aver detto “no” al nazismo. Un grave accesso malarico lo coglie sul lavoro; febbricitante, dopo aver invano elemosinato del cibo nelle cucine del campo Ernesto è costretto a ritirarsi in baracca: “Afflitto, affamato, umiliato, senza alcuna speranza mi corico in branda per piangere sotto le coltri. Ripenso con nostalgia ai monti in quella lontana Grecia, magari fossi morto laggiù combattendo che morire di fame in questa squallida baracca. Ma c’è chi dà amore, c’è chi si distingue dalla massa che mi fa scherno, ed è Giuseppe Medici. Si avvicina alla branda, “Mangia” mi dice, offrendomi una colossale patata ancora fumante. “Ti ringrazio, Medici, so quanto ti costi (ndr: l’alimentazione riservata ai prigionieri era scarsissima) la mangerò questa sera quando starò meglio”. Non erano passati che pochi minuti che lo vedo di ritorno. “Mi raccomando di cucinare bene questo ben di Dio” mi dice, e dalle tasche del pastrano prima e da quelle della giacca e dei pantaloni è un uscire di prosperose patate. “Queste” prosegue “non danneggiano alcuno perché sono del magazzino dei tedeschi e quindi non subentrano nella razione. (…) Sono passate da poco le 17, è già notte, e Medici ritorna (ndr: dal lavoro) fradicio e tremante. Chiede di me non vedendomi e si avvicina alla branda, mentre io ho raggiunto l’apice della febbre……(ndr: seguono parole illleggibili). “Non ho combinato nulla” gli dico, “questa maledetta malaria mi ha colto anche oggi.” “Oh, non fa nulla” mi risponde “anche se questa sera andrò a letto tardi per cucinare domani riposerò di più.” Lo lascio quindi intento nella cucina mentre io penso al suo nobile cuore. Sul tardi vengo svegliato
dolcemente. “La cena è pronta” mi dice. “Coraggio Ernesto, questo è da dividere” ma quanto innanzi non mi stuzzica l’appetito forse perché mi sento enormemente debole. Mi sforzo, spinto dalle parole fraterne del Medici (….).”
“Oltre al sostegno morale e a dividere con mio padre il già misero pasto – prosegue Elisa – Giuseppe arrivò a sottrarre per lui viveri dal magazzino dei tedeschi. Se si fossero accorti del furto sarebbe stato certamente fucilato o massacrato a bastonate.
Il mio appello di ricerca è già stato pubblicato sul “Resto del Carlino” ed altri giornali emiliani hanno confermato le prossime pubblicazioni ed io aspetto trepidante di avere notizie. A fine febbraio del 1944 mio padre riporta che Giuseppe era “ammalato e notevolmente dimagrito, trasfigurato nel volto”. Poi nessuna traccia di lui. Vorrei tanto sapere se il suo “nobile cuore” è tornato a casa dopo l’inferno della prigionia in Germania. Vorrei sapere se Lui, come mio padre, ce l’ha fatta.”