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TRANSIZIONE SPORTIVA, COME TRANSIZIONE ETICA

Vi potrei ammorbare per l’ennesima volta con le ovvietà della chimerica Riforma dello Sport e raccontarvi di tutte le mancate occasioni, salvo le poche colte e magari sciupate dal “vorrei ma non posso” del sistema sportivo italiano, fatto al novantanove per cento di volontariato e mecenatismo di prossimità, ma gestito e indirizzato da un numero ristrettissimo di oligarchi e professionisti. Mi potrei attardare su considerazioni scontate, legate a settant’anni pieni vissuti a stretto contatto con la realtà sportiva italica, che non ha mai schiodato da una visione elitaria, che prima serviva alla ripartenza post bellica e poi è via via divenuta una comoda soluzione gestionale, alleggerita della filosofia “zauliana”, fatta di Studenteschi e Campi Scuola, piuttosto che da quella “onestiana”, ispirata ai policromi “libri dello sport” e ai Giochi della Gioventù con i Comuni, come mezzo di compromesso con i Partiti, con quelli che erano i loro Enti operativi sul campo, prima di Propaganda e poi di Promozione.
La storia, che si è sviluppata per decenni in un gioco delle parti relativamente influente per il vero benessere e la salute degli italiani, adesso rischia di ripetersi attraverso soggetti sempre più tecnico/disciplinari, Federazioni e Associazioni o Strutture territoriali, che navigano a vista, stante la carenza di un progetto Paese per lo sport, di una visione strategica finalizzata al raggiungimento di un risultato essenziale, come quello del diritto pieno ed inclusivo alla pratica delle attività motorie e sportive, partendo dagli intenti educativi per arrivare all’obiettivo principe di un più alto livello di qualità della vita attraverso la salute.
Si potrebbe obiettare che continuiamo e peccare di inclinazioni utopiche, stante la realtà storica italiana, ma non è così, perché con una vera volontà politica e con investimenti mirati, magari inferiori allo stesso costo dei ristori elargiti per il COVID19, si potrebbe andare abbastanza lontano. Purtroppo, quando ci si accontenta di festeggiare le imprese affidate per delega ai professionisti dello spettacolo sportivo o ai super dilettanti dell’olimpismo, quelli che ci fanno sognare rimanendo in poltrona, rimane ben poco margine per passare dalle parole ai fatti invocati dai neo riformatori, che nel 2019 hanno messo mano al Bilancio dello Stato e alle deleghe amministrative, oltre che all’assetto dei servizi per il comparto dello sport, cambiando sigle e competenze, ma lasciando sostanzialmente al palo la stragrande maggioranza dei cittadini, che non sono classificabili tra i Legend o i P.O., che non sono matematicamente coinvolgibili in progetti a campione, come in programmi sperimentali e che peraltro non saranno mai sfiorati dall’ipotetico vantaggio derivante dai consolatori Giochi Invernali nel 2026 a Milano-Cortina, piuttosto che dalla Ryder Cup di Golf nel 2023 a Roma-Guidonia.
Dunque, si imporrebbe una fase di profonda riflessione, direi rifondativa del pensiero, prima ancora della disputa su cariche e poltrone per Enti formalmente prestigiosi, ma che hanno ampiamente esaurito tutti i margini di concreta utilità, almeno per i compiti che lo Stato e i cittadini continuano ad affidare loro, nella presunzione o illusione che questi possano compiere il miracolo di donare alla collettività italica quel tasso di benessere e di salute, che potrebbe farci davvero cambiare prospettiva, se non altro con clamorosi risparmi sui costi della sanità e ed una crescita certa della qualità della vita.
E allora, posto che è difficile, se non impossibile, arrivare all’autodeterminazione per scelte che non prescindono da francescana onestà intellettuale, qualcuno non condizionato e segnatamente con responsabilità complessive di Governo, nell’interesse vero della collettività intera, dovrebbe affrontare la stessa questione costituzionale, conferendo dignità di primo livello all’intrapresa, per garantire appunto il diritto universale alla pratica sportivo-motoria, quindi promuovendo il Ministero dello Sport tra i dicasteri di peso con adeguato portafoglio. Naturalmente, la vera Legge Quadro sullo Sport andrebbe concepita come una pietra angolare con funzioni educative, di wellness primarie e di conseguenza per il riassetto delle competenze in materia da parte di Dicasteri collegati, delle Regioni e delle Amministrazioni Locali. La sinergia tra sport, cultura e salute dovrebbe avvalersi di una chiave di lettura dedicata e supportata da una formidabile campagna di comunicazione, funzionale ad un giusto corretto stile di vita, come obiettivo condiviso della transizione sportiva.
Provate a farvi delle domande, a capire se lo stato dell’arte attuale è tale da consentire un passaggio dalla notte al giorno, appunto una transizione radicale del mondo sportivo, verso una impostazione assolutamente inclusiva, piuttosto che esclusiva, com’è adesso.
Per questo, occorre inquadrare la necessaria transizione sportiva nella più ampia e fondamentale transizione etica dell’Italia, giusto a centosessant’anni dalla sua raggiunta unità.
Se poi ci si dovesse interrogare sulle formule attuative da usare per attivare la doppia transizione, io non avrei esitazioni nell’indicare una ipotesi di lavoro che non si dia tempi biblici e che non eluda il coinvolgimento del sistema Paese nella sua accezione più ampia. La scuola, dalle materne alle primarie, per concludere con le università, deve rendere completo il suo ruolo formativo. L’accesso alle attività sportive di profilo sociale dovrebbe essere agevolato e garantito, attuando l’economia di scala che ne consentirebbe la sostenibilità, con uso razionale delle risorse economiche e strutturali.
Insomma, si tratta di cambiare mentalità, anche attraverso una rivoluzione culturale che faccia capire quali siano le opportunità vere di una diversa offerta sportiva. Per questo, occorre conoscere, essere informati e consapevoli, pronti a fornire il proprio contributo per la ripartenza, cogliendo l’occasione di questa forzata pausa di riflessione, affinché della necessità si faccia virtù.
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