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The Things We Hide pubblica “Lost above the clouds”. La band racconta di cosa parla il singolo e di come è nato…

È disponibile su tutti gli stores digitali il nuovo singolo del progetto The Things We Hide, dal titolo “Lost above the clouds”.

Link Spotify: https://open.spotify.com/intl-it/album/52CSokE6IXQNQatS7Ev7P7

“Lost above the clouds”, in realtà il monologo – senza speranza di ravvedimento – di un pericoloso narcisista, sotto mentite spoglie. Puoi spiegarci meglio?

Il testo è apparentemente un inno alla libertà e all’autoaffermazione, ma a una lettura più attenta rivela ben altro: si parla sì di spiccare il volo e di elevarsi, ma in realtà il narratore – che si esprime in prima persona – sta dichiarando tutto il proprio senso di superiorità rispetto al resto mondo.

“Lost above the clouds”. Con che spirito è nato?

(Jacopo) Sono sempre affascinato dai cattivi, dagli antieroi e in generale dalle anime complesse e sfaccettate; in passato i testi che scrivevo erano più sfumati e “universali”, ed ero un po’ impaurito alla prospettiva di cimentarmi in una scrittura più “narrativa”. Con “Lost above the clouds” ho voluto tentare, rimaneggiando un vecchio testo e cercando di creare un personaggio prima ancora che un messaggio; mi auguro che il risultato possa piacere.

Quale è il tessuto connettivo che unisce le varie canzoni del vostro progetto musicale?

Uno dei fili conduttori che legano le nostre canzoni è sempre stato questo: raccontiamo di relazioni fallite, di personalità disturbate, di lutti emotivi e di incomunicabilità; la nostra abitudine i cambiare spesso interprete (o interpreti, al plurale) da un brano all’altro viene proprio dall’idea di un relativismo sentimentale, di un’incompatibilità di fondo fra tutti gli esseri umani – che emerge con prepotenza nell’istante in cui le cose si mettono male. Dal punto di vista del genere, l’unica regola è il mutamento: sebbene tutta la nostra discografia si possa (finora) ascrivere molto probabilmente al mondo dell’elettronica e/o dell’alternative/progressive rock, non ci poniamo mai limiti e vorremmo che ogni singola canzone portasse con sé una novità – sia per noi che per chi ascolta.

Quanto è importante per un musicista o una band esprimere concetti profondi?

(Jacopo) Personalmente, non lo ritengo vitale – anzi: a una canzone impegnata ma “esteticamente” poco entusiasmante (almeno per il mio orecchio) ne preferisco di gran lunga una dal contenuto magari più leggero, ma dalle soluzioni musicali più appaganti. Impossibile dire se il concept che guida questo progetto sia profondo, ma il peso delle relazioni con gli altri nelle nostre esistenze è indubbio e questo per noi è sufficiente per continuare a scriverne, ovviamente dal nostro personalissimo e soggettivo punto di vista.

Il vostro è una sorta di collettivo musicale. Come si è formato? Come vi siete conosciuti?

Jacopo e Marco si ; grazie anche alla loro collaborazione tra cantautore (Jacopo) e compositore/produttore (Marco), hanno posto le basi di una lunga amicizia – il cui naturale sviluppo non poteva che essere la formazione di un progetto comune. Gli altri componenti della band, diventata sempre più “inclusiva” col tempo, provengono dall’accademia musicale di Marco (After Life Music Dimension), una piccola grande fucina di talenti.

Quale funzione ha per voi la scrittura sia a livello di testi che di struttura delle canzoni?

La scrittura è la casella di partenza; ogni canzone è un viaggio a sé, ma finora non abbiamo mai fatto nascere nulla dalla semplice improvvisazione. Non escludiamo di farlo in futuro, certo, ma avere già del materiale parzialmente pronto su cui lavorare in studio rappresenta per noi un porto sicuro.

Cosa bolle in pentola per The Things We Hide?

Continueremo a comporre e pubblicare un singolo dopo l’altro fino ad avere un nuovo full-length, mentre cerchiamo di farci conoscere anche a livello internazionale e a un pubblico sempre più vasto.

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