Non so se il messaggio è giunto chiaro, piuttosto che forte, tanto quanto la scossa che quattro anni fa tirò giù le case d’Amatrice e non solo, con una moltitudine di vittime sacrificali d’un sistema e d’una filosofia incancrenite. La sentenza di ieri ribadisce un complesso di cose, di responsabilità formali ed oggettive, ma sostanzialmente conferma che comunque l’edilizia italica non è assolutamente compatibile con la suscettibilità sismica del corrugato territorio, non privo di serie complicanze energetiche, stante il contrappunto vulcanico che lo caratterizza, come una bella tovaglia inguacchiata dal ragù. Il nostro vero problema è quello di avere la memoria corta e di rifiutare neghittosamente la scocciatura della prevenzione, come delle bonifiche per l’amianto e le discariche tossiche. Eppure la storia ci consegna un quadro impressionante di episodi, di una recidiva che ci ha obbligato infinite volte alla ricostruzione, se non all’abbandono, di città e borghi, dalla stessa Roma ad Amatrice, appunto. Ho già scritto più volte a riguardo e torno a ripetere che i nostri ingegneri in materia non sono secondi e che la nostra tecnologia è stata adottata dagli stessi giapponesi, che soffrono molto più di noi del tremore indice di giovinezza, almeno geologicamente. E allora? Allora, oltre che attardarci nei vari gradi di giudizio sulla minestra versata, senza por tempo in mezzo, dovremmo mettere mano a leggi e decreti, a finanziamenti mirati alla messa in sicurezza di immobili e infrastrutture di vecchia e nuova generazione, anche a tutela del patrimonio storico artistico del Bel Paese. Ecco come investire i miliardi del MES etc. Perdere ancora altro tempo, comporterà altre lacrime su altro latte, ahimè inesorabilmente ed inutilmente versato.