Ma sì, concediamoci anche gli Stati Generali dell’Economia, prima che poi. Tanto, il vero problema è quello della continua elusione, del continuo rinvio a futura memoria, ovvero coinvolgere consulenti, esperti e parti di profilo sindacale, affinché il palesamento di una democrazia consultiva – dilatata oltremodo ed inconcludente – non riconduca alla base unica del mediatore, l’unico a tenere in mano il famoso boccino. Gli inventori francesi degli Stati Generali sostenevano che avessero funzione limitativa del potere del Re o di deterrente per errori e responsabilità, specie di fronte a problemi derivanti da guerre o tasse da imporre poi edulcorate ai sudditi. E’ una storia vecchia di settecento anni e da Filippo IV a Maria de’ Medici, allo sfigato Luigi XVI, clero, aristocrazie e popolino, primo, secondo e terzo stato, dal 1302 al 1789, dettero fittizio supporto al potere reale. Diciamo che l’idea del nostro Premier, Giuseppe Conte, di allargare i giro con continui rilanci risponde ad una logica, rivela una strategia, puntualizza una tattica, finalizza l’obiettivo di mantenere uno status quo, che consenta l’arrivo concreto delle risorse, salvo a quel punto decidere, indipendentemente dai pareri controversi delle parti al Governo ed all’opposizione o dalla selva di opinioni e consigli scaturiti da ogni dove e da ultimo, appunto, dagli Stati Generali dell’Economia, convocati in quella che fu simbolica del potere al tempo dei Pamphilj, quella Villa che fu realizzata per volontà della “Papessa”, Donna Olimpia Maidalchini. Concedere ruolo fittizio alle parti sociali attraverso gli Stati Generali da convocarsi ad hoc, per poi governare in assolo, fu un gioco che andò a concludersi drammaticamente nel 1792, quando agli Stati ed al Re si sostituì la Convenzione, nacque una nuova Costituzione repubblicana, sorsero i Partiti e fu eletto un Parlamento a suffragio universale. A parte il cruento uso della ghigliottina, l’idea era che i cittadini maggiori di ventuno anni si prendessero la briga di eleggere propri veri rappresentanti, delegandoli al Governo della Nazione fu davvero una rivoluzione, quella che adesso occorrerebbe di nuovo in Italia . Ecco, questo è il problema non da poco che abbiamo di fronte, posto che il Bel Paese non riesce più ad esprimere una vera leadership, come reale frutto del consenso dalle urne, dai tempi del Governo Monti. Diciamo che sono passati quasi dieci anni dal “commissariamento” per condizionamenti euro-spread e che spartiti e sinfonie non sembrano orientati al cambiamento.