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Somalia e la lotta contro le mutilazioni genitali femminili

L’ex colonia italiana è da sempre portatrice di una pratica di cui non si parla mai in pubblico.
Le mutilazioni genitali femminili riguardano la chiusura della vulva tramite un’infibulazione e avvengono in età puerile. Le donne lì sono vittime di questa pratica anche per usus: chiunque non sia infibulata, infatti, viene vista dagli uomini come poco attraente e non interessante (è infatti molto più facile notare se una donna infibulata sia vergine o meno) e criticata aspramente dalle donne stesse.
Da questa pratica però derivano anche moltissimi problemi. Lasciando da parte varie emorragie e possibili infezioni, durante il periodo mestruale le donne hanno molta difficoltà e soffrono molto più di chiunque non abbia subito l’infibulazione. Anche andare in bagno risulta loro doloroso e difficoltoso.

Per questo motivo, il primo ministro somalo ha deciso di prendere l’iniziativa e parlarne apertamente creando una campagna che ha come obiettivo quello del bando delle mutilazioni genitali femminili. Omar Abdirashid Ali Sharmarke si è ritrovato a combattere quindi insieme a Ifrah Ahmed, attivista che da sempre si è opposta alle mutilazioni di cui lei stessa è stata vittima.
Sahra Samatar, il Ministro delle politiche femminile, ha quindi annunciato: “‘Sarà necessaria una campagna di informazione, così come la volontà di applicare la legislazione. In Somalia le mutilazioni sono molto diffuse perché la gente crede che siano un obbligo religioso. Ciò quindi fa si che le poche ragazze che non sono state vittime della pratica vengano insultate ed emarginate dalla società”.

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