22 luglio 2018
– Credo che più di ogni altra forma espressiva, sia il gesto a rappresentare e sintetizzare l’imprevedibilità delle determinazioni coraggiose, la teatralità della vita intesa come una vicenda unica nel suo genere e di cui occorre intendere e far intendere il senso. Sono nato e vivo a Roma, dove da un paio di millenni il popolo sa che ad un papa ne segue sempre e comunque un altro e dove mai la regola è stata tradita, salvo forzarla con “dimissioni e dipartite forzate”. Quella della improvvisa indisponibilità e della sostituzione in tempo reale del manager italiano di maggiore successo, del sessantaseienne Sergio Marchionne è stata un vero fulmine a ciel sereno, anche se lui stesso si era proposto per una uscita di scena nel 2019. Inutile dire che Sergio riscuote tutta l’empatia che merita un personaggio che viene dal percorso di vita più completo e complesso, quello dalle origini umili in una regione di gente creativa e caparbia, come l’Abruzzo, quello che ti forgia col padre carabiniere emigrato a Toronto, che ti dota di un mix esperienziale che va dallo scopone al poker , dal chietino allo slang canadese, dalla pesca delle scardole al salmone, dall’ipotesi di una merceria alla banca d’affari, dalle medie a tre lauree, dalla filosofia alla giurisprudenza passando per l’economia, al ritorno in Italia, arrivando alla FIAT, transitando per la Svizzera, dalla Cinquecento alla Ferrari 430, rivoluzionando la tradizione aziendale e la rassegnazione all’asfissia da credito bancario. Forse l’unico aspetto negativo, l’unico neo nell’itinere di Sergio, quello di essere un “pentito”, per anni fumatore senza limiti sia per quantità che per qualità, passando indifferentemente ed ininterrottamente da una marca all’altra e ricorrendo al soccorso di chiunque gli capitasse a tiro, per alimentarsi di quel micidiale “carburante”, di quell’acceleratore nicotinico del suo già straordinario speed. Sembra che questo antico “neo” sia la probabile causa della sua improvvisa eclisse e dell’imprevedibile altrettanto improvviso cambio al vertice di FCA, sostituendolo con un manipolo di super amministratori, praticamente con quelli che sono stati suoi moschettieri, quelli generati da scelte coraggiose e senza compromessi, tra cui quella di Louis Carey Camilleri che, ironia della sorte, ha un importante passato nello sviluppo del business per Philip Morris. Cosa volete che vi dica, io sono con Sergio e mi immedesimo in lui in questo momento di difficoltà che, per mia esperienza, può essere estremo ma non insuperabile. Sono nello spirito di Sergio, nella sua imprevedibilità ed essenzialità di uomo coraggioso, che qualche anno fa ha restituito le cravatte alle banche, cravatte di cui lui ha sempre rifiutato la funzione ed il valore simbolico, trasformando con successo i debiti di FIAT in azioni dal possibile plusvalore e poi, volando leggero, conquistando Chrysler e gli USA con tutto e il contrario di tutto , ovvero entrambi i Presidenti Obama e Trump. Giorni fa, lui sentiva che qualcosa non quadrava e si è ricordato delle sue radici, di quell’Associazione Nazionale Carabinieri, sezione di Toronto, di cui lui è stato segretario e poi socio in sostituzione del padre, maresciallo Cocezio, scomparso nel 1984: Sergio, prima di entrare in clinica, ha fatto la sua ultima comparsa pubblica, consegnando proprio all’Arma una Jeep Wrangler fiammante nella sua livrea. Un gesto concreto , ma essenziale, riassuntivo nel suo alto valore simbolico, legato a quei valori affettivi, alla famiglia e alla “Virgo Fidelis”, Patrona di quei militari che lo hanno iniziato alla vita e cresciuto nel Circolo di Toronto, dedicato al Maggiore Alfredo Serranti ed il suo battaglione caduti il 21 novembre del 1941 nella estrema di difesa di Culquaber, ultimo presidio italiano in Africa Orientale, appena settantasette anni fa .