Ma perché l’angoscia della sorte deve comunque finire in una qualsiasi forma di morte, anche dopo aver superato le avversità più dure, quel Capo di Buona Speranza, che prima o poi dobbiamo affrontare. L’interrogativo rappresenta la sostanza di un ciclo che passa per la mente e pure per la pancia. Domande e risposte vanno e vengono spontanee per via di due scomparse, in simmetrica coincidenza con il giorno che commemora i defunti, in pieno clima pandemico da COVID19, quasi che Sean Connery e Luigi Proietti avessero fatto una scelta mirata, come a dire: “Andiamocene in mezzo alla confusione, così diamo meno problemi…”. Nessuno dei due si è fatto fregare dal Virus Coronato ed entrambi hanno mantenuto il punto. Sean, già muratore e poi baronetto, cinematografico super eroe ha contato sino a novanta ed è volato via verso Borea dalle tiepide spiagge di Nassau alle Bahamas, dove si era ritirato quattordici anni fa per godersi la pensione da 007… Gigi, ad ottanta esatti, ci ha mandato l’ultimo sorriso, da mancato principe del foro e magnetico mattatore di ogni ribalta, questa mattina, due di novembre, giorno identitario della sua ironia, del suo compleanno e della sua dipartita, in una confortevole Clinica romana, senza aver mai staccato la spina. Di Sean mi ricordo la sua prima visione: io in piedi in una sala di Via XX Settembre, lui strepitoso, invincibile sullo schermo con il ciuffo da Bond … Gigi me lo rammento con una stretta a cuore, quando nel 1975 condividevo con lui e Carlo Molfese rigatoni e insalate in un “buchetto” vicino Piazza Mancini e Via Giulio Romano, dove erano allocati il Teatro Tenda e l’antica sede dell’Associazione Italiana Circoli Sportivi, trasmutata in Cultura e Sport. Lui e Carlo spopolavano con la prima versione di “A me gli occhi please!” e io mi esaltavo tra i successi AICS con Pietro Mennea e il decollo nella FIDAL con Primo Nebiolo, dopo l’ennesimo trionfo con gli Europei all’Olimpico. Adesso tutto tace, riposa nella mestizia e nel silenzio di una pausa di angosciosa riflessione, di una giusta, banale o straordinaria, ma inevitabile conclusione. Qualcuno e alla fine nessuno degli altri, nel celebrare i defunti, potrà ricordare che tutti dovranno morire… E allora? Allora rassegnamoci a vivere e a far vivere con noi , nella memoria, chi ci aperto la strada, ci ha preceduto e ci accompagnerà per i resto del divenire, perché non v’è alternativa, se non quella di gettare via, con la storia, anche la nostra povera sofferta gloria