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Scafisti o corsari barbareschi ?

“Mamma li Turchi !“ Gridavano terrorizzati gli abitanti di Otranto assaliti nel 1480 e cantava Gabriella Ferri…

“Li turchi so’ arivati a la marina…” con un tono quasi nostalgico. Adesso duettano sull’argomento d’immutata attualità i ministri Minniti e Del Rio. Sì, perché quando i Corsari Barbareschi arrivavano sulle nostre coste c’era il fuggi fuggi generale, mentre loro, i “saraceni”, arraffavano cose, donne e uomini validi, da vendere sui mercati come schiavi.

Questa storia era già nota ai Romani, ma riprese virulenta dal XVI al XIX Secolo, quando nel 1798 finanche il Congresso Americano si dovette impegnare con la fregata pesante USS Philadelphia, sino a cannoneggiare Tripoli.

Anche loro, gli antenati degli scafisti, arrivavano con agili feluche ad arrembare lenti navigli da trasporto o sulle nostre coste e vi generavano tracce definitive, di distruzione , ma anche di integrazione, lasciando donne incinte o creando insediamenti, come a Saracinesco, oggi suggestiva e panoramica cittadina del sublacense.

Da Alexandre Dumas ad Emilio Salgari, da Mozart a Rossini, tanti illustri autori hanno romanzato l’esotico spirito berbero, che aleggiava da sempre nel Mediterraneo. Allora, come adesso, loro, i corsari barbareschi, autentico flagello per le nostre popolazioni sul Tirreno e lo Jonio, sull’Adriatico sino al Conero, vivevano come vivono oggi di rapine, rapimenti e intermediazioni a fine di riscatto.

Le cronache erano e sono rimaste testimoni di episodi orribili e strazianti, delle devastazioni che venivano mitigate dal sistema delle torri costiere, che serviva ad avvertire del pericolo imminente e dalla difesa navale ahimè non adeguata. Adesso esiste un flusso di ritorno, siamo noi a ricevere disperati strappati alle loro radici e scaraventati sulle nostre coste, con tutte le conseguenze e vantaggi per taluni, del caso.

Solo chi non ha la giusta cultura e ha la memoria corta o una profonda ignoranza, piuttosto che una perfida consapevolezza può pensare ad un fenomeno di carattere sociale da assecondare o contenere, salvando le vite degli innumerevoli sventurati a prescindere.

In realtà, siamo in presenza del prepotente ritorno di uno storico fenomeno criminale, che si collega alla stessa pirateria che pochi anni fa terrorizzava le marine mercantili al largo della Somalia e dell’India, da cui anche il pesante episodio dei “Marò” italiani arrestati.

Dunque, quelli che oggi chiamiamo eufemisticamente “ scafisti “ non sono altro che pirati, efferati feroci criminali, di pericolosità sociale assoluta, “giannizzeri” al comando di “rais e agha” per i quali esistevano ed esistono leggi internazionali di repressione e dura condanna.

Cosa vogliamo fare? Vogliamo accordarci con i mandanti ed i complici palesi di questa attività ignobile ? Ogni accordo sarà violato ed ogni speranza tradita dalla loro storia, tradizione, cultura immodificabili.

Noi abbiamo soltanto una possibilità, in alleanza con le forze di polizia e contrasto militare non soltanto italiane, ovvero quella dell’applicazione inflessibile di ogni attività di prevenzione possibile e quella di sanzionare economicamente i Paesi, che tollerano e favoriscono le attività piratesche, a cominciare dalla Libia, nelle diverse versioni tribali.

Se esistono campi di raccolta per i transfughi nei Paesi di origine e di detenzione coatta in Libia, se l’Italia viene vista come elemento funzionale per una attività che presuppone molti passaggi e diversi ruoli a terra come in mare, noi abbiamo l’imperativo di sottrarci a questa supina funzione, diversamente dobbiamo essere consapevoli di essere di fatto favoreggiatori, indipendentemente dai salvataggi, che devono essere comunque considerati un dovere assoluto, laddove esista il pericolo dell’affondamento e dell’annegamento.

In definitiva, libere le ONG di circolare per le acque territoriali non italiane, di raccogliere chi vogliono anche in acque libiche o di altri territori africani, ma obbligate trasportare i poveri transumanti presso Paesi disposti ad accoglierli, indipendentemente dalla distanza. Sicuramente ne sarebbero felici la Francia, la Spagna, il Portogallo e magari la stessa Turchia, che fece dei fratelli “barbarossa” Oruc e Khayr Ad-Din degli eroi, piuttosto che l’Inghilterra, la Germania, l’Olanda e perché no Svezia, Norvegia, Danimarca o addirittura la spopolata Islanda, tutti luoghi d’elezione di antiche vocazioni corsare.

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