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Il salto nel cerchio di fuoco, corsi e ricorsi del calcio italiano

Prima di riprendere analisi e ragionamenti su quanto espresso e quanto sotteso durante la recente due giorni degli Stati Generali dello Sport Italiano, contraddistinti da sessioni legate ai cinque cerchi di diverso colore, rifletto sul sesto di fuoco, sulla prudenza del Foro Italico – che teme ricorsi per un eventuale commissariamento del calcio – e a quanti sono asserragliati nel bunker della FIGC, tra le trincee stese tra statuto e regolamenti, nella complessità di un ente che riesce a comprendere, tra le sue competenze e responsabilità, tutto e il contrario di tutto, ovvero rappresentarsi come la metafora dello sport in Italia, che nell’immaginario collettivo non ha confini tra pratica amatoriale e spettacolo, tra dilettantismo e professionismo, tra funzione educativa e tifo violento, tra prevenzione salute e doping, tra poveri e ricchi alla ricerca dell’impossibile fair play finanziario… Questo groviglio di competenze e responsabilità è il risultato acquisito – nel bene e nel male – da novant’anni a questa parte, almeno da quando Lando Ferretti, da Presidente del CONI e capo ufficio stampa di Mussolini, convinse Augusto Turati, Segretario del PNF, a lasciare fuori lo sport dalle competenze dirette del governo. Ad oggi, quella formula “unica al mondo” consente agilità e delizie, ma comporta anche croci e problemi ricorrenti, come quello che mette in crisi il mondo del calcio per l’ennesima volta. Devo dire che in Via Allegri si sono già avvicendati nel tempo fior di commissari, direi in un numero esagerato tanto da apparire quasi la norma più che l’eccezione. Nel 1958, il CONI fu costretto a presidiare la Federcalcio con il suo uomo di punta, un personaggio straordinario e strategico come Bruno Zauli, Segretario Generale del Comitato Olimpico, ma anche asse portante dell’atletica europea, dello storico sistema dei Campi Scuola e di Campionati Studenteschi, alla vigilia dei Giochi della XVII Olimpiade moderna a Roma, di cui sempre lui era l’acme dell’organizzazione. La situazione era speculare a quella di oggi e il 3 agosto di sessantanove anni fa il Presidente del CONI, Giulio Onesti, decisamente meno diplomatico di Malagò, ritenne di esprimersi cosi:
“La Nazionale di calcio rimane la più fiacca e mediocre rappresentativa che lo sport italiano possa esprimere in qualsiasi settore. Il nostro paese è depresso economicamente, ma diventa l’eldorado per gli atleti stranieri. Ciò conferma ancora la crisi del nostro calcio, che non sa produrre calciatori, e la leggerezza di certi dirigenti di società che si fanno guidare dal tifo, cioè da un impulso irrazionale. Eppure tra questi dirigenti vi sono spesso degli operatori economici che si ingegnano, con assiduità e intelligenza, per creare nuove possibilità di lavoro alle aziende e ditte a cui presiedono. È ammissibile che, nel medesimo tempo, essi importino lavoratori dall’estero a condizioni folli ? E come si conciliano le spese da nababbi con le disastrose situazioni dei bilanci delle società ? Oggi, noi ci facciamo ridere dietro da mezzo mondo, come i ricchi scemi del calcio. E come se ciò non bastasse, è venuta fuori la trovata dell’oriundo, che ha ormai una sua letteratura. Nonostante una simile profusione di mezzi e di invenzioni, il calcio italiano è stato escluso dalla Coppa del Mondo 1958 ! “.

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