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SALERNO OLIMPICA E NON OLIMPICA -Le riflessioni del Direttore

Quando torno a Salerno, il primo pensiero è sempre per Pierino e intendo il giovanissimo Pietro Mennea, astro nascente ai Campionati AICS del 1969. Allora, nello Stadio Vestuti, fu davvero una gran festa all’insegna dello sport con la ESSE maiuscola, l’atletica come elemento sorgivo di una visione naturale della competizione basata su quanto di più istintivo possa accadere, la corsa. Dopo il successo di COMUNICARE LO SPORT, a Roma un anno fa, su iniziativa di Renato del Mastro, Presidente dell’Associazione Olimpici e Azzurri, nel contesto di una giornata dedicata al XXVIII “PREMIO AZZURRI D’ITALIA”, con oltre una centuria di colleghi giornalisti dell’Ordine Regionale della Campania, con il Presidente Ottavio Lucarelli e il Delegato USSI, Antonio Abate, domani mi troverò al Circolo Canottieri Irno per ragionare sul tema sportivo e su di un crinale apparentemente “caprino”, perché trattasi di discipline olimpiche e non olimpiche, suscettibili di un algoritmo determinato dalla volubilità degli umani. Certo, sarebbe paradossale vedere uscire dal programma olimpico estivo l’atletica leggera, ma teoricamente non sarebbe impossibile, visto che è stata a rischio la lotta, antica quanto lo stesso uomo, che la volle nobile e distintiva della forza unita alla virtù, identificandola da oltre duemilacinquecento anni con il mitico eroe crotoniate Milone, vincitore per sette edizioni dei Giochi ad Olympia ed altre ventisette volte ai Pitici, Nemei, Istimici… Eppure, nemmeno colui che salvò la vita ad un pilastro della scienza e della filosofia, come Pitagora, può ritenersi immune dall’affronto, dal vedere sostituita la propria storia da una new entry nel programma olimpico moderno, da una disciplina dall’aspetto meno suggestivo, meno accademico, ma oggi decisamente più popolare e gettonato. Per questo, intendo lo skateboard, piuttosto che il surf, se non addirittura il frisbee o il bowling, piuttosto che il bridge o il biliardo… In realtà, sappiamo che lo sport è un insieme complesso di fascinose straordinarie attività, originato dai giochi di tradizione popolare e quindi caratterizzato dalle differenti culture territoriali , non alieno ai meccanismi dell’economia e della politica. Il clamoroso esempio del baseball, fuori della porta olimpica per problemi di priorità economico-organizzative e di gerarchie federali internazionali, piuttosto che di leghe americane, la dice lunga su come vanno in realtà le cose. Io, per quanto mi riguarda, starei al consolidato antico e moderno, rispettando regole elementari che diano risposte razionali rispetto a comuni denominatori, come quelli della diffusione universale, della praticabilità senza esclusioni politiche, religiose o di censo. Per censo non intendo l’essere ricchi o nobili per nascita, ma l’essere dentro condizionamenti che fanno la differenza tanto quanto il doping, affidando la ribalta dei Giochi Olimpici ai protagonisti dello sport spettacolo, del professionismo stellare, piuttosto che di stato, ai fruitori d’impianti e assistenza socio-tecnico-sanitaria possibili solo per le collettività più ricche, oppure aprendo varchi essenziali per i vertici di un movimento popolare, svincolato di fatto da ogni forma di esasperato mercificato professionismo. Oggi la missione, il ruolo vero dello sport dovrebbe essere quello inizialmente intuito dallo stesso De Coubertin, ovvero di accompagnare in modo determinante l’evolversi della qualità della vita, assegnando il podio ai migliori, unicamente quale punto naturale d’arrivo, quale ovvio vertice geometrico della base più ampia possibile. Ma questo forse è un altro problema, una ipotesi utopica, tanto quanto quella di preservare il programma olimpico estivo, piuttosto che invernale da costi realizzativi divenuti insopportabili, da invasioni aliene ed eccessivamente fantasiose, tanto quanto i creativi dei nuovi games, sempre più social e virtuali , sempre più remunerativi per l’industria di settore…

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