Cosa volete che vi dica, ho davvero una brutta sensazione, sperando che “non tutti i mali vengano per nuocere”, ovvero che ci sia il palese trasferirsi della strategia di guerra fredda dal convenzionale e dal nucleare, all’ambientale, all’economico ed ora in modo aggressivo allo sport. Qualunque sia la verità, questo mette in seria mora l’intero sistema, a cominciare da quello olimpico, che dei cinque cerchi si avvale come brand dal potere stratosferico e che rischia di doverlo cambiare per non rovinarsi, visto che ormai è l’associazione d’immagini con quanto di peggiore possibile è continua ed esponenziale. Parlare di doping di stato, con l’alea di migliaia di soggetti coinvolti, di una miriade di manifestazioni e di risultati da rimettere in discussione, non significa soltanto togliere credibilità ad un Paese come la Russia, ma coinvolgere tutto e tutti, a spese dello sport nella sua accezione più ampia. Io penso che i danni che si stanno determinando siano ben più ampi dei benefici, salvo che il mondo dello sport non trovi il modo di tutelarsi in chiave preventiva e certa, attrezzandosi opportunamente nella difesa della propria credibilità. Ad esempio, i partecipanti ad eventi di livello internazionale sotto l’egida del CIO, a cominciare dai suoi Giochi quadriennali, dovrebbero essere controllati prima delle gare e comunque tutti, sino all’ultimo, a prescindere dal risultato. L’inadeguatezza dei controlli attuali sta nel fatto che non si possono creare dei “mostri” a babbo morto e sepolto, con effetti retroattivi che finiscono inesorabilmente per trasformare in sceneggiate e fiction, con parti in commedia, tutte le manifestazioni che hanno fatto e fanno dello sport uno dei fenomeni sociali che da tremila anni polarizzano l’immaginario collettivo, con ricadute ancora più importanti, totalizzati nel mondo ora globalizzato. Esprimo, per concludere, il dubbio che gli intrighi dei ”servizi” non siano estranei a quando è accaduto e stia accadendo allo sport, visto che questo nostro mondo rischiava di divenire realmente un mezzo di integrazione, pacificazione, inclusione, ovvero di rivoluzione rispetto alla diaspora religiosa, culturale, etnica, ambientale, economica, militare, su cui devono poter contare gli avvoltoi che da sempre si cibano delle catastrofi umanitarie.
Ruggero Alcanterini